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Radikon

Scritto da  Roberto Spera

In ricordo di Stanko Radikon, persona straordinaria e grande vignaiolo, che ci ha lasciati la notte del 10 settembre 2016.

Nessuna insegna, una entrata particolarmente complessa. Un’ampia terrazza che si affaccia sulle vigne e sul Collio Sloveno, introduce alla casa e alla cantina di Stanislao (Stanko) Radikon. L’accoglienza è quella che si riserva a una persona di famiglia e subito ci si sente come a casa propria. Nell’ampio tavolo della cucina davanti a un bicchiere di vino tratto da una bottiglia che ha riposato lunghissimi anni in cantina, c’è un calore umano e una serenità palpabili. Gli occhi di Stanko sembrano illuminarsi quando comincia a parlare della sua vita di viticoltore. La semplicità delle sue parole non riesce a mascherare la grande saggezza e la grande forza di questo uomo. Si interrompe di tanto in tanto solo per placare l’affannato abbaiare del suo piccolo cane, che lasciato fuori vorrebbe anch’esso partecipare al racconto. Un approccio alla vigna estremamente rispettoso della natura quello di Stanko, una continua sfida a cercare un equilibrio perfetto nel fare vino senza scorciatoie. Una pazienza infinita, una incrollabile fiducia nelle proprie idee, rafforzate anche dalle sconfitte di una stagione. Capire il linguaggio della natura e interpretarne le molteplici rappresentazioni non è esercizio facile. E’ una via complessa quella scelta da Stanko, e da altri come lui su questi colli, ma quello che se ne ottiene è qualcosa di straordinario nella capacità espressiva e nella complessità.

L’azienda storicamente nasce nel 1921. Stanko ci comincia a lavorare nel 1977, la sua prima bottiglia è del 1979.  Sono passati questi anni senza avere certezze, perché in questo mondo non ci sono certezze, c’è solo da imparare ogni anno in vendemmia, sono 30 vendemmie, sono pochissime, quando parleremo di 200 vendemmie, io purtroppo non potrò partecipare, avremo forse capito qualche cosa in più oppure no, perché il mondo del vino è così, la natura si comporta ogni anno diversamente e questa è la bellezza della nostro lavoro, e quindi è sempre più affascinante. Questo ti tiene giovane mentalmente. Nel nostro percorso, abbiamo cambiato varie volte il modo di fare il vino. Abbiamo iniziato con le botti vecchie di castagno, nei primi anni ’70 siamo passati un po’ all’acciaio e dall’acciaio quasi subito al legno piccolo, le barrique. Negli ultimi anni siamo tornati alla botte grande, a una vinificazione come quella che si faceva 100 anni fa”.

Tace per qualche minuto. Suzana, la moglie lo osserva in silenzio, il figlio Sasa è davanti ai fornelli a sciogliere della ceralacca per chiudere alcune magnum. Si stringe le grandi mani e riprende: “Io sono molto contento di avere fatto questa scelta, di aver fatto un passo indietro per riscoprire veramente che cosa è l’uva. Per descrivere un vino dicono che ricorda la foglia di pomodoro, ha sentori di pesca, di peperone, non accade mai il contrario! Ma perché dobbiamo per forza scervellarci a pensare a un vino che sa di queste cose qua, pensiamo all’uva. Il problema è che l’uva si conosce poco. Chi parla di vino dovrebbe almeno conoscere l’uva, secondo me”.

E’ il vino bianco che la fa da padrone nella vigna e nella cantina di Stanko, un solo rosso, il Merlot.

E il ragionare volge subito sull’uva a bacca bianca “il bianco, secondo me è il vino più importante, anche se lavorato in bianco forse non mi dà quella sensazione che dovrebbe dare un vino. C’è una grande differenza di gestione tra le due uve, nel vino rosso prendiamo tutto quello che c’è, tutto quello che la terra ha dato perché dietro alla buccia ci sono delle cose, ci sono delle sostanze incredibili, il bianco invece no, il bianco viene di solito pressato,  peraltro con una pressa soffice, pneumatica, non vogliamo tannini, non vogliamo niente, vogliamo solo il succo che è dentro l’acino”. La voce sale di tono, a dare più forza a quello che sta per dire “la differenza tra un vino vinificato in bianco o un vino macerato sulle bucce la trovi nella quantità di estratto secco, che si innalza di 5-6 punti e questo è importante, importantissimo, perché dobbiamo buttare via questa cosa?

Nella cantina di Stanko la fermentazione avviene in tini di legno tronco conici da 25-35 hl con le bucce, in pratica una vinificazione in rosso. Una macerazione lunga 3-4 mesi determina una maggiore estrazione e regala ai vini un colore molto intenso e li arricchisce di antiossidanti naturali necessari per la loro conservazione. “Dal 2002, i nostri vini sono prodotti e imbottigliati senza aggiunta di conservanti. I pochi solfiti presenti sono prodotti naturalmente durante la fermentazione alcolica”.

La fermentazione avviene spontaneamente con i lieviti indigeni. “La fermentazione alcolica dura una quindicina di giorni. In questo periodo vengono eseguite quattro follature al giorno”.

I vini bianchi vengono affinati in grandi botti di rovere (30-35 hl) per tre anni circa, i vini rossi 5 anni. Poi fanno un anno di affinamento in bottiglia prima di essere immessi sul mercato.

Tre bianchi in produzione, Ribolla Gialla, Oslavje e Jakot. Quest’ultimo è un Tocai scritto al contrario per superare fin da subito l’annosa diatriba con gli ungheresi. Una Riserva Ivana con Oslavje e Ribolla Gialla. Il Merlot come unico rosso, per ora, ma “ne faremo un altro, il Pignolo, che diventerà molto più importante rispetto al Merlot, che è un bel vino, però il Pignolo è più di territorio. Stiamo alle prime prove, si stanno vedendo un po’ già le caratteristiche di questo vino che secondo me potrà dare grandi risultati nel tempo, non bisogna però avere fretta. Il problema del vino è che tutti hanno fretta, nessuno vuole aspettare che il vino maturi, che la bottiglia faccia il suo corso”.

 Il testo è tratto dal libro "Il Collio è ..." di Roberto Spera - ed. Ali&no editrice - 2009

 

 

 

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