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Stefano Cinelli Colombini

 

Raccontare il vino come espressione di un territorio e di una cultura, questo traspare dalla conversazione con Stefano Cinelli Colombini. Non parleremo di vigna e di cantina. Nessuna parola sulla magia della fermentazione o sulle tecniche di allevamento della vigna.

Ma solo un dialogare sulla storia, la tradizione, la emozione che ci sa dare la vista di un paesaggio, la piacevolezza dei profumi della terra e dei suoi frutti. Ho percorso con Stefano, nello scorrere delle parole, un itinerario fantastico che ha sempre avuto nello sfondo il prodotto principe di questo luogo d’incanto, il Brunello. Gli argomenti si sono rincorsi, l’aneddoto, l’esempio, hanno sempre voluto rafforzare un concetto che non ci ha mai abbandonato, il vino è il legante supremo della storia dell’uomo qui a Montalcino. Stefano ne è il custode attento e non abbandona mai la speranza di conservare nel tempo lo spirito, la filosofia di vita che hanno reso questo luogo unico e irripetibile.

 

Stefano cosa significa degustare un calice di vino?

 

Degustare un vino è assolutamente un qualcosa di profondamente soggettivo. L’impressione che se ne trae è sicuramente legata al momento ed alla persona, il rapporto che quella persona ha con se stesso. Quando si dice “il vino è cultura”, non c’è dubbio che il vino sia cultura perché c’è una componente che creiamo noi, con le nostre conoscenze, con il nostro immaginario.

 

Un altro elemento importante e forte per riuscire a cogliere oltre le sfumature dei profumi e dei sapori, è la conoscenza di chi produce quel vino e dove e come lo produce.

 

Sicuramente. Infatti personalmente ho sempre capito poco questo approccio molto americano alla degustazione per punteggio. Mi è sempre sembrata una cosa che non serve a niente.

 

Perché si occupa solo di un aspetto del prodotto, sarebbe bello invece avere la percezione di tutto il mondo infinito che c’ è dietro quel bicchiere di vino, che è fatto di storia, di fatica e di passione.

 

Sì, è fatto di tutto. Racconto una piccola storia. Una volta che ero a Parigi, una giornata stupenda. Io adoro Notre Dame, è un posto bellissimo. Arrivo lì davanti, mi siedo su una panchina a guardare. Arriva una coppia di fidanzatini. Li sento dire “mica bella! La porta di destra sembra uguale a quella di sinistra, ma se guardi bene è un po’ diversa. Guarda anche lì il rosone di sinistra sembra uguale a quello di destra, hanno sbagliato anche quello. È tutta sbagliata”. Come andare a spiegare a questi signori che nel romanico, nel gotico, in tutti questi stili, la asimmetria è cercata, è voluta. Come si fa a farglielo capire. Il bere è la stessa cosa. Quando uno beve, sapendo e conoscendo, beve cento cose. Se ad uno viene dato un bicchiere di plastica con dentro una roba tiepida tutto scompare.

 

La ricerca affannosa di improbabili profumi, di sentori sconosciuti

 

Sì, diciamo una cosa. Io ieri sera ho sperimentato, per la prima volta, la cucina del nostro piccolo salotto in taverna, dove si fa la cucina ottocentesca di casa nostra, cucina di Villa Toscana, che non esiste, non si trova più. Con pochissimi piatti in un’atmosfera amichevole, un grande vino fa una figura incredibile, emozionante. Mi soffermo a pensare “ma che figura avrebbe fatto quel vino in una bella mattina a digiuno in una stanza bianca con una  luce neutra ed una degustazione con altri cento?” È una cosa orribile.

 

Non ci si può limitare a ricercare la perfezione tecnica, dimenticando le emozioni che può dare un vino anche in annate meno fortunate.

 

Certo, la perfezione tecnica ci deve essere, però al di là di questa, c’è tanto di più. È quel qualcosa che secondo me, quando lo si perde, si perde il sapore del vino. Il sapore del Brunello è il ricordo di una volta a Montalcino, di una cena particolare.

 

E’ importante anche riandare con la mente a quella vigna, a quell’azienda, a quel paesaggio, ai profumi di quella terra

 

Ma ha notato che i grandissimi vini vengono sempre in posti straordinariamente belli.

 

Sarà un caso?

 

Assolutamente, no. Secondo me c’è proprio una connessione tra l’armonia della natura e la bontà del prodotto.

 

Si può affermare che l’agricoltura è il mestiere più bello del mondo.

 

Il fascino dell’agricoltura è che si lavora in posti bellissimi e questo già è un bel modo di lavorare. Poi si è a contatto con qualcosa di più grande di noi. C’è poco da fare, è un mondo che inevitabilmente costringe a venire a patti con se stessi.

 

Sì, di fatto non si può fare altro che subire il volere della natura.

 

È inevitabile. Si impara una certa umiltà nel rapporto con il mondo. Secondo me la natura insegna un modo di vivere, proprio una filosofia di vita. Uno dei grossi guai della viticoltura attuale che purtroppo si è persa la concezione del lavoro agricolo. Si tende a fare agricoltura come fosse un lavoro industriale di qualunque tipo. Ci si aspettano dei risultati precisi e si pianifica. Io sono d’accordo che bisogna pianificare, saper progettare, sapere gestire tutto al meglio, però si è perso proprio lo spirito originario.

 

Diciamo che si è perso il vero contatto con la natura. Anche il rispetto dei suoi ritmi dei suoi tempi e di quello che questo significa.

 

Io vengo da una famiglia legata a questa terra da 650 anni. Il problema è che oggi vedo che la maggior parte della gente improvvisa il rapporto con la terra. Io mi sono formato sul “campo”, mi hanno fatto lavorare proprio in agricoltura, stando nei campi, mi sono occupato di allevamento, dei cereali, degli olivi, delle vigne, poi del commerciale e pian piano ho visto tutte le branche nell’azienda, tutta la vita della fattoria. Ho acquisito esperienza e pian piano sono arrivato a certi risultati, a certe cose che ho fatto. Oggi si prende molto semplicemente un ragazzo bravo, con un bel master, una bella esperienza universitaria e gli si chiede di mandare avanti l’azienda. Magari ci riesce pure tecnicamente a mandare avanti l’azienda, però che rapporto ha con tutto quello che ha attorno? Zero assoluto. L’agricoltura che è il rapporto con la terra, con le cose, è anche un modo di vivere, è una filosofia. Tutto ciò noi ce lo stiamo giocando sull’altare dell’efficienza.

 

Vorrei inserire una nota di conforto e di speranza in quello che stiamo dicendo. Molti giovani che sono subentrati ai genitori, ai nonni, le nuove leve in vigna, stanno mettendo un enorme entusiasmo nel fare le cose, c’è questa voglia di una nuova lettura, che sa di antico, del lavorare la terra, un approccio diverso da quello che c’è stato fino a poco tempo fa e per molti c’è ancora.

 

Sì, sicuramente abbiamo della gente molto brava e preparata che si è messa a lavorare seriamente e sta avendo dei risultati. C’è sicuramente un futuro nell’agricoltura italiana e nella vigna.

 

Importante è mantenere saldo il rispetto della tradizione e della storia dei luoghi, perché quello che abbiamo oggi è il frutto di un lavoro lungo di innumerevoli generazioni che hanno creduto in questa terra e in quel che poteva e sapeva dare.

 

Io ho una passione per la storia. Montalcino ha una situazione stranissima, è ormai il comune più ricco d’Italia con 5.000 abitanti ed un fatturato spaventoso creato dal Brunello. Però c’è un problema, questa ricchezza ha attirato imprenditori e investitori di tutto il mondo. La conseguenza è che noi abbiamo una nostra popolazione locale che è divenuta una minoranza. Certe persone sono venute qua per un motivo ben preciso e con una filosofia di vita ben precisa. Il nostro modo di vivere, le nostre tradizioni sono distanti dalle loro. Si corre il rischio che cancellino il nostro modo di essere ed il nuovo modo di essere sarà il loro. Sarebbe la morte di Montalcino. E’ una cosa assolutamente surreale.

 

E allora cosa fare?

 

Cercare i modi per integrare i nuovi venuti alla cultura di Montalcino.  Ho creato una fondazione, l’ho finanziata, l’ho considerata un investimento della mia famiglia. Ho regalato quote al comune, alla provincia, alle misericordie del posto, ai quartieri di Montalcino ed ho detto “vediamo di creare un museo nella comunità di Montalcino, del Brunello, metà dedicato alla comunità ed alla storia della comunità che ha creato il vino e metà al vino.

 

Come è stata accolta questa iniziativa?

 

Funziona, abbiamo tantissimi visitatori però disgraziatamente non sono quelli che vorremmo avere noi. Tutti hanno collaborato. Abbiamo la più grossa fototeca della Toscana con oltre 10.000 foto di prima della guerra, oltre a tutto il resto, con un patrimonio forse di 2.000 o 3.000 foto antecedenti la prima guerra mondiale.

 

L’obiettivo è coinvolgere i nuovi arrivati?

 

Questa è l’idea di base. Ma non è bastato. Ho detto “facciamo un giornale”. Abbiamo così creato il Gazzettino e Storie del Brunello e di Montalcino. È un mensile di storia locale, di viticoltura con inserti tecnici ai massimi livelli perché un Montalcinese, che è preside di agraria a Bologna, ed è il più grande esperto di viticoltura che c’è in Italia, forse in Europa, ci tiene la rubrica della viticoltura. Poi vari storici romani, universitari ci fanno le varie rubriche. Abbiamo cultura, storia del territorio, viticoltura e ciò che accade a Montalcino, la cronaca. Abbiamo la cucina, un ricetta per mese. I numeri utili esistenti sul territorio, un pò di tutto.

 

Credo che lei abbia riassunto con efficacia l’obiettivo di tutte queste iniziative nel suo editoriale sul primo numero del Gazzettino che mi sembra importante riportare:

 

“E non dovrebbe essere difficile condividere la nostra storia con questi ilcinesi dall'accento strano, perché in fondo anche noi siamo emigranti; mille anni fa questo era un colle deserto, poi sarebbero arrivati i profughi di Roselle inseguiti dai saraceni e nata Montalcino. Da allora siamo vissuti sulla Francigena, la strada più trafficata della cristianità, che ha penato mille influssi, mille contaminazioni e chissà quanti figli della strada. Nella nostra storia ci sono state tante parrocchie, chiese protestanti e chissà, forse arriverà anche qualche moschea. Montalcino è famosa ma nasconde molto più di quanto mostra, perché questa è terra di paradossi e di cambiamenti rapidi. È una piccola comunità che fu per anni capitale di uno stato sovrano ed oggi dicono, del vino italiano. Un secolo fa era benestante, poi poverissima e ora è la comunità agricola più ricca del mondo. Pare una cittadina sonnolenta che legge poco ma ha cinque giornali e cento anni fa ne aveva sette. Eppure c'è chi scrive che fino a ieri c'erano solo villani ignoranti e polli, a caccia di vermi nelle botti tenute vuote tra una vendemmia e l'altra”… “Bah! Montalcino è tutto e il contrario di tutto, E difficile capire Montalcino senza conoscerne il passato. Cosi abbiamo scelto di partire da quello che era per spiegare quello che è, quel che vi accade e chi ci vive. Per conoscersi di più, noi che viviamo lo stesso luogo senza incrociarsi mai”

 

È incredibile la quantità di gente che ci ha chiesto di potersi iscrivere. Ci stiamo divertendo perché stiamo vedendo una partecipazione che veramente non ci immaginavamo.

 

Evidentemente è stata l’idea giusta perché va salvaguardata la storia di questo territorio e di questo vino.

 

L’idea è questa perché il problema è questo. Noi abbiamo un ricco patrimonio, una storia incredibile e su questo abbiamo costruito un mondo. È un mondo particolarissimo con un vino straordinario. Abbiamo tutta una cultura ed una esperienza su questo vino straordinario. Tutto ciò per noi è la base di sopravvivenza.

 

Voi avete prodotto sempre vini di qualità anche negli anni in cui in Italia non c’era molta scelta di qualità, anche per un fatto di cultura.

 

Sì, un fatto di cultura: E come è tipico di noi toscani, sappiamo unire la cultura con la necessità. Tutta questa avventura della Toscana e del Brunello sta nell’aver tirato fuori da una natura assolutamente non prodiga, avere avuto intelligenza e cervello di tirare fuori e valorizzare quello che c’è.  La mia paura di fronte ad un approccio così commerciale e meccanicistico, e non culturale, con l’agricoltura, è che noi perdiamo questa peculiarità.

 


Fattoria dei Barbi
loc. Podernuovi, 170 – Montalcino (SI)
tel 0577 841111
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I PRODOTTI

Brunello di Montalcino Vigna del Fiore DOCG
Brunello di Montalcino Riserva DOCG
Brunello di Montalcino DOCG
Rosso di Montalcino DOC
Birbone Toscano IGT
Morellino di Scansano DOC
Brusco dei Barbi IGT
Rosso di Barbi IGT
Chianti DOCG
Vin Santo dei Barbi DOC

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