Una storia particolarissima quella della famiglia di Sabina, nella quale domina la creatività e la capacità di trovare soluzioni innovative ai piccoli o grandi problemi che accompagnano la nostra vita quotidiana: il nonno materno faceva l’inventore di professione.
L’azienda Plozner l’ha fatta nascere proprio quel nonno negli anni Sessanta, quando abbandonò Torino dove aveva una fabbrica che gli consentiva di dare concretezza alle sue idee, per tornare al suo Friuli e dedicarsi alla viticoltura in una zona che all’epoca non sembrava particolarmente vocata.
Ci sono le primissime foto dell’azienda, sono delle foto aeree, molto divertenti perché è tutto grigio. Questo perché devi considerare che noi siamo su un letto di ghiaia e c’era solo questo rettangolo verde dove era stata fatta l’azienda, e basta, non c’era niente intorno.
Un’isola in un mare di ghiaia.
Sì, un’isola. Il nonno ha messo molto di suo in azienda, pur non essendo un tecnico della viticoltura. La sua fantasia si è concentrata sulle macchine con cui si lavorava in campagna e in cantina. Noi negli ultimi 4-5 anni abbiamo ristrutturato un po’ tutto e quindi abbiamo dovuto adeguare alle nuove necessità anche la cantina, forse anche un po’ a scapito della storia. Però dove è stato possibile abbiamo conservato quello che aveva fatto lui.
L’azienda chi la conduce oggi?
Io e mia mamma Valeria. Mia mamma è in cantina da 25 anni, più o meno, ed io invece da pochissimo, solo da cinque. Sono abbastanza novellina qui dentro.
Credo non avrai fatto mancare il tuo contributo di idee ...
L’anno scorso mi hanno fatto giurare di non farmi più venire delle idee nuove per almeno un anno.
Tornando alla ristrutturazione dell’azienda, cosa avete cambiato?
Diciamo che la scatola, il contenitore è rimasto quello e poi al suo interno è stato rivisto un po’ tutto. Per esempio, la prima parte di vinificazione veniva fatta due piani sottoterra con tutte le difficoltà di gestione che puoi immaginare. Quattro anni fa invece abbiamo aggiunto allo stabile che ospita la cantina, un edificio nuovo e questa parte di vinificazione viene fatta all’esterno. Poi ho cambiato la linea imbottigliamento, sono cambiati i vasi vinari. Un intervento di pari importanza è stato fatto in vigna.
Avete espiantato e reimpiantato?
Sì
Che scelte avete fatto?
Ci sono state delle decisioni prese soppesando elementi diversi. Non potevamo non tener conto del il fatto che il mercato è un po’ cambiato da 40 anni a questa parte e quindi tipologie che potevano essere state determinanti per i primi 20 anni di attività dell’azienda, hanno un po’ perso terreno a vantaggio di altre che sono molto più richieste negli ultimi tempi. Secondo me la scelta più difficile da fare è stata questa. Non puoi non porti la domanda “cosa faccio? Seguo il mercato ed allora mi metto a piantare quantità enormi di Traminer o cerco di avere lo sguardo un po’ più lungo e comunque di mantenere i vecchi vitigni”
In effetti in vigna questo non è un giochino semplice perché per verificare la bontà di una scelta ci vogliono anni….
Certo, non bisogna dimenticare che è un investimento a lunga durata perché tu aspetti quei 3-4 anni prima che un vigneto entri in produzione, poi ne passano altri prima che sia in pieno regime.
Nel frattempo corri il rischio della moda che cambia.
Sì e anche abbastanza repentinamente. Nel giro di cinque anni un vino che era esploso non interessa più a nessuno. Queste sono operazioni un po’ rischiose e quindi, secondo me, è meglio andare con i piedi di piombo. Alla fine più che piantare qualcosa di completamente nuovo, abbiamo deciso di fare una scelta accurata dei cloni. Noi abbiamo sempre prodotto vini da monovitigno, Merlot, Pinot grigio, Sauvignon, etc., solitamente anche con un unico clone. Il mio enologo, che è una persona estremamente curiosa, è andato in giro ad assaggiare, testare un po’ i cloni diversi. Tra l’altro noi abbiamo a due passi la produzione di barbatelle e questo ci da la possibilità di poter toccare con mano le novità. Tutti gli impianti nuovi sono stati fatti con una selezione clonale, per cui il vecchio Tocai che veniva prodotto in vigna di 40 anni da un unico clone, adesso viene prodotto da cinque cloni diversi, dove uno di questi è il nostro clone storico e quindi recuperato dalle vigne vecchie. Il Merlot viene fatto con 4 diversi cloni.
E’ cambiata anche la fittezza di impianto?
Quando noi abbiamo deciso di fare questi reimpianti era ovviamente per far migliorare la qualità. Siamo passati in certi casi da 2.000 piante per ettaro a 6.500, è stato un cambiamento non da poco.
Avete fatto un passaggio importante sia in vigna che in cantina. Cioè ne è uscita un’azienda praticamente nuova.
Sì, nel frattempo abbiamo cominciato a lavorare tantissimo anche sulla comunicazione e sull’immagine.
Adesso avete molti vini in produzione?
Ne facciamo tantissimi, ben 19! Sono divisi in tre linee. Una è la linea tradizionale, quindi Tocai, Merlot, Cabernet, Refosco, tutti da monovitigno e comprende anche un vino frizzante ed un brut. Poi c’è una linea fatta per il catering e quindi per la banchettistica, e quelli sono due blend, un bianco di Pinot bianco e Chardonnay ed un rosso di Merlot, Cabernet e Refosco. Poi la linea superiore che comprende cinque vini: il Moscabianca che è un Tocai, il Malpelo che è un Pinot grigio ramato, fatto quindi come si faceva una volta, il Bastiano che si chiama così perché è un vino rosso da pesce, quindi un Bastian contrario, con Refosco di Faedis. Avevamo cominciato usando diversi Refosco, adesso siamo passati ad usare solo il Faedis. C’è poi Pecoranera con quattro Merlot e Quattroperuno uno che è un uvaggio di tre Sauvignon con un po’ di Viogner.
Un tocco finale interessante.
Sì, quella è stata forse la cosa più audace, nel senso che qui è una cosa un po’ anomala. Anche perchè in Friuli abbiamo tutti l’abitudine di fare moltissime tipologie di vini e di avere un’infinità di vitigni, sia autoctoni che internazionali. E allora diventa veramente difficile pensare di aggiungere ancora qualcos’altro.
Lavorare una gamma vasta di vini non è una banalità.
Questa è la ragione per la quale mi hanno fatto giurare di non proporre niente di nuovo. Perché io non ho pensato che il mio enologo doveva poi gestire tutto questo in cantina. Considera che la linea superiore e quella del catering sono uscite tutte e due l’anno scorso, quindi lui si è trovato con sette nuovi vini in cantina.
In cantina utilizzate solo acciaio oppure utilizzate in cantina anche legni?
Non li usiamo quasi più, li abbiamo sempre usati poco, usavamo la botte grande per i rossi tranne per il Refosco che abbiamo sempre fatto esclusivamente in acciaio. Nel periodo in cui abbiamo fatto le riserve, per quei 15 anni in cui le abbiamo fatte, facevamo uno Chardonnay in barrique, un Merlot e poi all’occorrenza se c’erano annate particolarmente interessanti, altri vini rossi.
E ora?
Adesso usiamo la barrique soltanto per il Pecoranera, che è il Merlot superiore. Il mio enologo sta usando l’acciaio per tutto.
Mi sembra una scelta in sintonia con il tempo, perché dopo un grande amore per i vini passati in legno degli anni scorsi, adesso il gusto è cambiato e sempre di più vengono apprezzati che non hanno conosciuto il legno.
Il legno indubbiamente sembra rendere il vino più facile alla degustazione. Dipende comunque da quanta voglia si ha di ascoltare un vino.
Sì, certo. Il legno è e rimane utilissimo, sempreché se ne faccia un uso estremamente corretto e per i vini in grado di sostenerlo.
Secondo me, i vini non passati in legno sono più godibili per certi versi, perché riesci a berne di più, non hai la lingua densa che puoi avere con certi sapori terziari del legno. Però è anche vero che bisogna prestarci un po’ più di attenzione proprio perché sono più delicati, eleganti. Bisogna acquisire una maggiore sensibilità.
Hai attuato una particolare innovazione in una delle tue linee.
Sì, abbiamo usato i tappi in vetro nella linea superiore.
Con quali risultati?
Buonissimi.
Il tappo in vetro va giù a pressione?
Esatto. Viene chiuso, anche se non esiste ancora una macchina da poter inserire nella linea di imbottigliamento, manualmente. Sopra ha una piccola capsula di alluminio che si chiude intorno al tappo. La capsula di alluminio viene aperta ruotandola come per quella dell’acqua minerale e sotto c’è un tappino che rimane sigillato, attaccato al collo della bottiglia attraverso una guarnizione di silicone che agisce come da ventosa, che si apre con la pressione del pollice.
Riesce ad essere ermetica?
Assolutamente. Tu puoi girare la bottiglia a testa in giù e non perde neanche una goccia.
Nelle varie sperimentazioni fatte, si è visto che il processo di ossidazione del vino con il tappo in silicone è molto più veloce che con il tappo di sughero. Stai facendo qualche prova nel tempo?
Noi l’abbiamo usato solo l’anno scorso. Però è anche vero che lo usiamo per vini che escono tutti di annata, noi non facciamo vini da invecchiamento. L’unico magari da provare sarà quel Merlot, che ti dicevo. Per i vini d’annata 2005, che è stata la prima in cui abbiamo usato questo tipo di chiusura, ti devo dire che anche a distanza di un anno sono strepitosamente conservati. Poi è bellissimo il tappo, è bello perché la gente ci gioca, si diverte. Io ho voluto fare delle bottiglie che fossero divertenti.
Per finire, due parole su questo tuo nuovo ruolo all’interno della Associazione delle donne del vino del Friuli.
Sono diventata Presidente subentrando a Michela Sfiligoi, mi ha passato il testimone una persona di cui ho una stima infinita. Una cosa che ho sempre apprezzato di lei è il suo senso pratico incredibile. Ogni progetto che lei ha fatto all’interno delle “donne del vino” è sempre riuscita a portarlo a termine. Adesso che mi trovo al suo posto, ci sono delle difficoltà non da poco, perché c’è tanto lavoro da fare. La propria azienda diventa il secondo lavoro rispetto alle “donne del vino”.
Da quanto tempo hai incominciato?
Da settembre dell’anno scorso.
Quali iniziative avete messo in campo?
Abbiamo già fatto molte cose. Subito Barcolana, l’anno scorso ad ottobre. Poi a dicembre abbiamo fatto Carati d’Autore, a Trieste che è un premio che noi assegnamo annualmente. Abbiamo organizzato corsi di cucina itineranti un po’ in tutto il Friuli e li abbiamo finiti a fine aprile. Adesso dovremmo fare dei corsi di formazione per noi di inglese del vino e di accoglienza in cantina.
Il prossimo progetto?
Vorremo fare un corso “dalla vite al vino”. Ma non solo dei corsi di degustazione, che ormai sono tanti, ma dei corsi prevedano il contatto con il vigneto, con la cantina, con tutto il processo dalla cura del ceppo al bicchiere di vino.
Io troppo spesso mi sento dire “le guide hanno fatto il vostro gioco perché hanno creato curiosità ed adesso la gente sa assaggiare”. Il punto è che la gente ancora non conosce il valore del vino. Hai sempre la sensazione che tutti siano convinti che il grappolo cada dentro la bottiglia ed il gioco è fatto. Invece è importante che capiscano cosa c’è dietro. Poi tutte ci rendiamo conto che quando capita la clientela che ha un attimo di tempo, e gli fai visitare l’azienda, gli fai fare una passeggiata fuori, rimane sempre sbalordita. Vuol dire che c’è ancora tantissimo da fare in questo senso.
AZIENDA AGRICOLA PLOZNER
Via delle Prese, 19 - Barbeano di Spilimbergo ( PN )
Telefono + 39 0427.2902
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- www.plozner.it