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Angelo Piras

 

Un uomo di sensibilità estrema. Il suo sguardo si posa sul suo ospite con dolcezza e rara attenzione. Lo guarda e lo scava nell’animo, riesce con naturalezza a percepire cosa serve per farlo star bene alla sua tavola. Lo fa in silenzio, o con poche garbate parole che rendono ancora più piacevole l’attesa. Poi si nasconde in cucina e comincia a lavorare per lui, solo per la piacevolezza del suo palato. Quando quel piatto giunge a tavola l’ospite capisce che è esattamente quello che avrebbe voluto, ma che forse non sapeva nemmeno esprimerlo come desiderio. Non è solo mangiare, è stare in beatitudine!

 

Angelo come nasce questa tua passione?

Io sono un autodidatta perché arrivo proprio dal niente, da zero. Questo lavoro non sognavo neanche di farlo. Sai a volte i bambini dicono “voglio fare il cuoco”; io invece tutt’altro. Volevo studiare, a scuola andavo anche abbastanza bene, solo che arrivo da una famiglia molto povera.

 

La tua storia è affascinante nella sua durezza, ti prego di raccontarla.

 

Arrivo a Torino nel 1972 dalla Sardegna, e vado a lavorare in un ristorante nel centro storico di Torino molto conosciuto perché lavorava da 60 anni e tutt’ora, che è di mio fratello, lavora.
Quindi, mi diedero un grembiule a righe, una giacca a righe ed un cappello da mettere in testa per lavare i piatti e le pentole. Da subito mi sono detto: “domani torno a casa, Questo lavoro qui non è per me. Chiuso dentro una cucina, io che sono abituato a stare nei prati, in mezzo alla campagna. Mi ossessionava”. Ma è arrivata la passione che mi ha spinto a rimanere e vedere queste creazioni, che non erano niente di particolare, però erano cose che non avevo mai visto. Oggi dico che erano delle cose banali, però mi sono servite tantissimo per imparare a riuscire a fare quello che ogni giorno riesco a fare.

 

Ricordi con piacere questo momento che mi sembra abbia segnato il tuo percorso.

 

Questa trattoria per me è stata un trampolino di lancio. C’erano tra l’altro delle persone, che erano signori toscani, che mi hanno insegnato soprattutto a vivere e ad apprezzare le cose semplici. Soprattutto a risparmiare sulle cose, a non sprecarle. Entravo in cucina prestissimo. Alle 8.30-8.45 bisognava essere già in cucina e poi si andava via alle 15.00-16.00. Quando tutti erano usciti lo chef si metteva a fare i dolci, non voleva che gli altri imparassero determinate ricette.  Ero io che mi fermavo nel pomeriggio a lavare le pentole che lui sporcava ed intanto rubavo con gli occhi tutte le sue ricette. Un giorno mi disse ”oggi pomeriggio stai qui con me perché dobbiamo fare i dolci”. Io mi ricordo che avevo 15 anni, scrissi a mia madre in Sardegna “mamma, oggi ho imparato a fare il creme caramel” e mia madre rispose “e cos’è?”. Io ero entusiasta di questa cosa qui. In questo posto, dove volevo andare via il giorno dopo, mi sono fermato per ben 14 anni.

 

Cosa succede dopo questa lunga parentesi?

 

Ho aperto una trattoria, piccolissima nel Borgo San Paolo. Pian piano l’ho trasformata in un ristorante di solo pesce. Era una trattoria semplicissima ed io l’ho fatta diventare elegante. Avevo soltanto 8 tavoli. Ho coinvolto mio fratello, quello più giovane, che era molto bravo in sala, e siamo riusciti a tirarlo su. Siamo stati lì sei anni.

 

E finalmente Chieri …

 

Sì, ho conosciuto Rosita, che abitava a Chieri ed è stata lei a informarmi che nel centro storico c’era in vendita un ristorante.  E così che ci siamo poi buttati in questa avventura molto più grande di noi, ma ci siamo riusciti!

 

Hai abbandonato la tua cucina di pesce?

 

No, ho iniziato con il pesce, anche perché a Chieri, nel ’95, non c’era nessuno che lo faceva e poi, poco per volta, ho cambiato realizzando piatti sempre più particolari. Un miglioramento acquisito attraverso la frequentazione di stage in locali stellati.

 

La tua esperienza più formativa dove è stata fatta?

 

Alla Siriola in Val Badia. Lì ho imparato la cottura delle carni, della selvaggina, dei funghi e poi, essendo un ristorante di livello internazionale, ho acquisito la capacità di lavorare il foie gras, il caviale e tutti gli alimenti più particolari compresi nella loro carta. Anche alcune tipologie di cotture a vapore dentro cestelli di bambù, l’affumicatura: ho imparato ad affumicare i salmoni, le carni di capriolo oltre che a fare l’affumicatura del foie gras a freddo su delle lastre di ghiaccio. Tutte queste tecniche le ho riproposte qui da me. In Val Badia, alla Siriola ho imparato a conoscere i grandi produttori e i loro vini, i pregiati Calvà e gli Armagnac. Ma non solo. Ho acquisito anche una maggiore raffinatezza nella scelta delle stoviglie e dei bicchieri. Questa esperienza mi ha permesso di rendere più elegante l’ambiente del mio ristorante.

 

Il tono della tua voce tradisce una emozione che è sintomo di grande amore per le cose che fai

 

Io sono innamorato di questo lavoro, ma soprattutto di questo ristorante perché è una mia creazione. Qui dentro io dico sempre “si entra cliente, ma bisogna uscire amici”. Ho una grande passione per le cose che faccio e questa passione la voglio trasmettere al tavolo. Tant’è vero che la prima volta che viene qui il cliente, che è ancora cliente, prende la carta e poi dice “ma ho visto che nel tavolo a fianco ha portato un piatto che non leggo qui in carta”. Allora ti metti a chiacchierare con lui e dopo un po’ gli dici “sono sicuro che anche lei la prossima volta non prenderà la carta”. Io non amo tantissimo le liste chilometriche e quindi stilo un menù con dei prodotti che possono andar bene e poi, fuori carta, tengo alcuni prodotti. Per esempio in questa carta qui non c’è il foie gras, ma in casa ce l’ho; in quest’altra manca il caviale beluga, ma in casa ce l’ho, magari poca roba per poter fare una piccola cosa da offrire al cliente che quel giorno è disposto ad assaggiare determinate cose, a lasciarsi un po’ emozionare. Infatti a volte vengono da noi e dicono “senta Angelo, sono stravolto, mi coccoli un attimo”.

 

Angelo, come nasce un tuo piatto? Attraverso una sperimentazione continua oppure è solo un esercizio mentale possibile per la tua grande conoscenza dei singoli prodotti e delle loro espressioni?

 

Un esercizio mentale. Io il piatto lo preparo, ma non lo assaggio. Diciamo che la mia cultura gastronomica mi ha portato a conoscere tantissimi ingredienti e conoscendo gli ingredienti la loro funzione, la consistenza, i tempi ideali di cottura, posso fare anche delle cose che magari mi vengono in mente al momento. Se poi lavori, come faccio io, un ingrediente fresco, buono, genuino, e non quello da supermercato, tutto è più semplice. Senza quell’ingrediente il piatto non lo faccio, per questo molti piatti  non li ripeto per più di sette, otto mesi.

 

Quello che traspare da questa chiacchierata è che tu la carta la fai, perché la carta la devi avere, però la vivi come se fosse una costrizione, un limite. Per cui dici “ok, questa è la carta ed io questo faccio, ma se vuoi …”

 

Io ho conosciuto uno chef, che è un due stelle vicino Parigi. Lui mi diceva: “io non faccio la carta, esco io in sala e propongo cinque o sei menu diversi”. La cosa che a me farebbe molto piacere potrebbe essere questa. Naturalmente devi avere anche tanto personale. Purtroppo qui non è proponibile.

 

La ricerca degli ingredienti è una attività che fai da solo?

 

Certamente. Coltivo le erbe aromatiche nell’orto di casa: dal dragoncello alle erbe come il timo al limone, all’arancia, tre o quattro tipi di salvia, il rosmarino, la menta fresca, la menta peperita, la menta egiziana, rabarbaro rosso e così via. Poi ho trovato persone che lavorano le cose giuste. Da un fornitore prendo il tonno rosso di Carloforte, un prodotto straordinario, una nuova sensazione organolettica, che lascia il cliente affascinato.

 

La cura nella ricerca del prodotto migliore è fondamentale per l’eccellenza del piatto

 

Se da noi tu mangi l’insalata di carne cruda è la carne cruda del filetto, io non uso la copertina perché è un prodotto che non compro. Quando mangi la carne cruda, come quando mangi il filetto, nel piatto non deve rimanere nulla. Nel filetto e nella carne cruda non deve assolutamente esserci un filino di grasso.

 

Tu servi una carne strepitosa ……

 

Sì è vero la manzetta prussiana è una carne strepitosa che arriva dalla ex Prussia, dove vive allo strato brado e quella carne lì la possiamo paragonare a quella di kobe. Io ho dei clienti che sono diventati amici che mi dicono “quando vengo da lei, Angelo, voglio mangiare esclusivamente l’agnello sambucano oppure la manzetta prussiana”.

 

Altra delicatezza non da poco l’agnello sambucano

 

Qui mi posso permettere di elaborare determinate cose perché ho un tipo di clientela che le apprezza. Per esempio anche nella carta dei vini, non so se l’hai notato, ho alcune qualità di vini, per le quali non metto il prezzo. Il motivo è semplice: riesco ad averne sei bottiglie all’anno e desidero che a berlo siano quei clienti che lo scelgono non con la logica del prezzo: è caro ed è più buono, ma con la logica di provare un’emozione. Quando il cliente prova un’emozione bevendo un determinato vino, io mi sento gratificato.

 

Anche questo fa parte della magia del tuo lavoro. Continuiamo il percorso dei prodotti. La tua selezione di formaggi comprende formaggi del territorio, o ti estendi anche ai vicini cugini francesi?

 

Ho formaggi francesi e spagnoli, in genere però lavoro formaggi italiani, sardi, e comunque in ogni caso formaggi del territorio.

 

Che usi anche in cucina?

 

Certo. Adesso sto prendendo formaggi da uno dei più grandi affinatori piemontesi, che ti realizza tutte le pezzature che vuoi. Già perché il problema per tutti i piccoli ristoranti come il mio era che tu prendevi dei formaggi dai grandi affinatori,  che però ti davano una forma, una mezza forma e poi se tu riuscivi a venderla in una settimana, bene, sennò ne buttavi via la metà. Invece lui questo lo ha capito. In questo modo ho sempre formaggi freschi.

 

So che giochi anche con la frutta

 

Oh sì, mi faccio delle marmellate! Nell’orto ho tantissima frutta e in più i frutticoltori della zona che vendono al mercato mi dicono “ho dieci mele cotogne, non le metto neanche in vendita, le vuoi Angelo?”. Io prendo le mele cotogne, me le metto via e mi faccio tutte le marmellate. Ho fatto delle marmellate di mele cotogne, di prugna, di fichi.

 

Riesci in sostanza a fare solo quello che ti piace

 

Se una cosa non mi piace non la propongo. Perché anch’io devo essere in sintonia con un piatto, se  non mi piace, non lo propongo oppure non lo faccio proprio più.

 

Questo perché tu sei in perfetta simbiosi con la cucina. Per te non è un mestiere, è un’espressione di te stesso.

 

E' così. Per esempio una cosa che adoro è l’affumicatura. Il più grande amico del papà di Rosita, la mia compagna, fa il restauratore di mobili e ha tantissimi frutteti, con molte qualità di frutta. A lui dico “senti ho bisogno di trucioli di pesco, di pero, di ciliegio e di lauro” e lui mi prepara tutti sacchi di trucioli diversi.

 

E con questi fai l’affumicatura

 

Sì, uso una qualità di truciolo per ciascuna tipologia di affumicatura. Per dire, ho affumicato del rombo nei trucioli di pero e di pesco, oppure il salmone con trucioli di noce e di lauro. Queste tecniche ti danno dei gusti incredibili!

 

E introvabili

 

Non so quanto durerà! Però ora di sacchi ne ho tanti e li tengo nella mia cantina che è asciuttissima.

 

Angelo Piras

 

Ristorante Sandomenico
Via San Domenico, 2b - Chieri
011941.18.64 - Chiuso la Domenica sera e il lunedì tutto il giorno
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