Corrado, come vivi queste tue preparazioni, queste tue invenzioni, questa tua ricerca anche degli ingredienti, delle cose che servono, che tu assembli, che tu abbini, e che poi ci regali lasciandoci ogni volta stupefatti e emozionati.
Con molta serenità. È questo il percorso che mi sono cercato con tantissimi sacrifici miei e di chi mi sta intorno, a cominciare dalla famiglia, da mio fratello Carlo che è l’altra metà dell’azienda, di essere testimone di un nostro modo di vedere quello che può succedere in un ambito lavorativo, che poi in questo nostro specifico è attribuito alle cose che fai, per il piacere del palato, per l’esigenza quotidiana di nutrirci. Tutto come tu hai giustamente individuato, parte dalla ricerca delle materie prime. Parte dalla considerazione che una volta scovata una materia prima che tu reputi interessante, è necessario che perché questa arrivi a voi, che poi lo assaggiate, lo consumate, debba essere prima studiata e capita nella sua intimità. Questo è lo stretto rapporto fra un prodotto agricolo, nella naturalità, e la delicatezza con la quale questo deve essere avvicinato e trattato. Un contatto fatto di sensazioni quasi impercettibili frutto della conoscenza e della capacità di vedere il prodotto stesso quasi in trasparenza.
Come una lastra di vetro attraverso la quale tu riesci a vedere che cosa c’è dentro il prodotto, riesci a percepire ancora una volta l’ingrediente e ti rendi conto se è stato accompagnato ad esprimersi alle sue massime possibilità.
O è stato manipolato. Questa capacità ti fa scoprire la verità di quello che è il lavoro del contadino, ma anche del contadino che lo ha fatto, della natura che ha fatto quel cappero, quell’erba aromatica spontanea, quel frutto dimenticato, quella mandorla, quel pistacchio, quel sale, quell’extravergine, o quel formaggio, o quel latte. Non puoi dimenticare che tutti questi prodotti hanno all’interno anche il lavoro di altre persone, che sono quelle poi che noi andiamo a trovare molto spesso quando si tratta di prodotti, o della natura stessa e quindi della nostra terra, nel senso intimo e stretto del termine, quando parliamo di erbe aromatiche spontanee.
Sta proprio nel mettere insieme i singoli ingredienti, che si riesce a far emergere delle sensazioni che non saremmo capaci di cogliere altrimenti …
Sì, diciamo che le materie prime, così come le scoviamo e le troviamo, sono il nostro alfabeto, poi cominciamo a comporre delle parole. Con le parole c’è la possibilità di esprimere dei pensieri, dei concetti. Facendo un parallelo con l’arte i colori nella tavolozza sono gli ingredienti, poi li puoi miscelare, li puoi velare, in acquarello o in acqua forte, ma i chiaroscuri sono poi un elemento della tua cultura, della tua formazione, del tuo modo di esprimerti utilizzando quelli che sono gli ingredienti.
Certo e poi attraverso quel quadro, quella composizione di colori, che diventano forma, tu di fatto racconti quello che vuoi raccontare.
Cerco di raccontare quello che secondo me oggi ci sia di interessante, di affascinante della Sicilia gastronomica e molto spesso anche enologica. Cioè a dire “siamo frutto, siamo figli di una tradizione culturale, materiale lunga centinaia di secoli a partire dal primo Omero fino ai 1000 e più anni di vita della cassata siciliana, noi che siamo pasticceri oggi ne siamo gli ultimi interpreti. Ci tocca essere e vogliamo esserlo, con immenso piacere, non solo dei “trasfusori” e ripetitori di una tradizione antica. Vogliamo essere anche, ci piace essere, protagonisti di una rilettura della cultura materiale siciliana aggiornandola e rendendola vivace, viva, contemporanea con il gusto che è cambiato nei secoli. Quindi noi offriamo oggi una cosa che forse, con il buon volere di chi arriverà dopo di noi, potrà essere un nuovo segno di tradizione più recente.
Quindi percorrere un altro tratto di strada nell’ambito della storia, perché è vero che la cassata ha mille anni, ma credo che pur rimanendo uguale a sé stessa ha accompagnato in questo percorso i gusti che sono cambiati, i prodotti che sono cambiati.
Certo, un conto è tramandare una tradizione ripetendola acriticamente e spostandola semplicemente nel tempo. Un altro conto completamente diverso è quello di tenerla viva e vivace alimentandola in ogni epoca di una personalità propria che rende, per l’epoca che vive, la realtà di un prodotto attuale.
Non lo senti come un prodotto del passato, ma un prodotto delle epoche che tu percorri e quindi non ti stanca mai, non muore mai.
Non muore mai, anzi vive sempre di una splendida ed eterna giovinezza, se vogliamo, è un eterno Peter Pan. Poi c’è questa nostra voglia di rendere atto oggi di una rivoluzione epocale del costume alimentare siciliano, nazionale ed internazionale, con genti che si spostano da continente a continente, con orientali che vivono in Sicilia come viaggiatori e come artisti, con occidentali che arrivano, americani che arrivano a gustare la Sicilia alimentare. Non ci sembrerebbe il caso di fornire una Sicilia ancora ferma al retaggio dell’involtino di pesce spada, sarda a beccafico, quelli che comunque rimangono dei capisaldi.
Ma neanche di una cucina internazionale però che sminuirebbe una tradizione millenaria
Sicuramente no, ma la nostra è una lettura con palato moderno di un modo di fare cibo che abbiamo appreso dalla scuola di quell’arancino, di quella sarda a beccafico, di pane e panelle. Oggi ci sono soprattutto i giovani, non mi reputo assolutamente l’unico protagonista di ciò, c’è un bel novero di giovani che sono a lavoro, rispolverando molto del sentire paterno, familiare, del casato, nel caso della nobiltà, o del convento, nel caso degli ordini religiosi. È comunque un’esperienza rivissuta, riletta con menti moderne.
Sì, basta pensare a tutta la pasticceria, ad esempio conventuale siciliana che è, credo, uno degli fonti inesauribili di storia e tradizioni, di bontà.
Assolutamente vero.
Forse non raccontata ancora nella sua completezza, ma che meriterebbe un’attenzione sicuramente maggiore.
Come no. È raccontata solo superficialmente. Se ricominciassimo a rileggere quelle cose che poi purtroppo non sono mai state approfondite come meritano, potremmo riprendere un altro percorso, ricette non da “rivisitare”, perché non mi piace neanche la parola, ma da rendere attuali con accostamenti coerenti con il cambiamento culturale della nostra epoca.
Tu sei partito da queste storie, da queste tradizioni ed hai fatto una lettura di questa parte della cultura siciliana
La lettura della cultura gastronomica siciliana l’ho vissuta anche dall’empirismo del mio maestro. Il mio maestro era a diretto contatto con quella tradizione e la ripeteva nel laboratorio di pasticceria. Molte delle ricette che io ho portato al Caffé, sono frutto di una rilettura del professionista di una tradizione conventuale o familiare. Poi venivano rese in forma elegante perché venivano fuori dalle mani di un professionista che riusciva a trarne anche un ritorno economico da tutto questo
Certo, e non soltanto un piacere di fare le cose
Poi c’è stata la fase di presa di consapevolezza di questo enorme patrimonio e successivamente, sempre dalla parte del rilancio di una modernità e di un protagonismo dove accanto alla ricerca delle materie prime, e quindi delle migliori materie prime, oggi sono stati attaccati brandelli di mestiere. Altri brandelli di mestiere creati assolutamente ex novo in modo da rendere onore all’ingrediente che si deve presentare in maniera trasparente, a che si veda che è l’ingrediente la chiave di lettura di quel dolce, di quel piatto, di quella preparazione. Ancora una volta poi nell’altro mestiere, nell’assemblare, nel farli dialogare in quello che poi arriva al cliente, al consumatore
La tua è una pasticceria di una grande leggerezza. I sapori sono come delle tinte pastello, se vogliamo rimanere nel discorso del quadro, ed è questa la leggerezza che hai cercato di dare? Cioè questa percezione di profumi, di sentori anche delicatissimi che non vengono mai sovrapposti da altri magari un pochino più forti
Il mio maestro mi ha insegnato una grande regola: “Non tutto ciò che noi abbiamo in mano possiamo assaggiarlo passandolo dal palato perché non finiremmo mai di mangiare durante il giorno”. Molto spesso siamo costretti ad utilizzare tutti i sensi a nostra disposizione e fra questi principe il naso per provare questi ingredienti, per provare la qualità degli ingredienti. Questo a cosa mi ha portato? Mi ha portato ad una sensibilità sensoriale del naso spiccatissima, tanto che il mondo del profumo si sta anche interessando al mio modo di lavorare perché ci nota delle estreme similitudini con il mondo del profumiere, dell’organizzare il bouquet di una fragranza per il corpo per l’ambiente. Perché mi sono abituato a regolare, come dei cursori, come un banco di mixeraggio televisivo o musicale le note che sono da un pieno ad una velatura appena accennata di un aroma. E’ un gioco di pastelli, di chiari e scuri, di tonalità.
Su quelle poche cose che ho assaggiato ho trovato questa continuità, questo modo di porsi. Ossia, non c’è un ingrediente che si sovrappone agli altri, ma ognuno riesce ad esprimere se stesso senza essere turbato troppo dalla vicinanza dell’altro ed insieme fanno un’armonia perfetta. A me questo sembra importantissimo. È come se tu non cercassi di non avere un attore principale e tanti comprimari che magari riempiono solo la scena. I tuoi ingredienti sono tutti primi attori.
Tu pensa ad una grande orchestra di grandissimi solisti dove ognuno ha al posto lo spartito, del brano da eseguire, con la sua parte da solista e gli altri lo accompagnano e poi a turno ciascuno assume in un attimo il ruolo di primo protagonista, di solista e gli altri rimangono sullo sfondo
La percezione che hai è un qualcosa che viaggia tutto insieme, perfetto, ma in realtà c’è questa modulazione secondo quello che accade, e nel nostro caso è nella masticazione. Tutto è demandato alla sensibilità all’interno della bocca, tu senti più il dolce, l’acido, il salato. Però ecco è una continua armonia
Sì, diciamo che al contrario di molti francesi, al contrario di quella che era anche la profumeria francese che si basava su un’idea illuminista di uomo protagonista del suo operato e quindi assoluto, unico protagonista dei grandi melange, miscugli. Io amo di più non cercare il miscuglio, la miscela di tutti gli ingredienti, ma cercare l’armonia tra gli ingredienti in modo che ognuno di loro abbia spazio sul palato, ma nello stesso tempo riescano ad esprimere un’armonia globale come una grande orchestra
Esatto, anche perché la ricerca dei suoi singoli ingredienti non è banale, non è casuale. Quindi non è che dici “ora ci metto questo ed intorno ci metto qualcosa per fare colore”
No, non è lo scopo. Il colore, sì, ti aiuta
Certo, anche, ma non è solo quella la motivazione
Assolutamente, no. Diciamo che c’è una ricerca delle forme, ma soprattutto una ricerca dei contenuti del gusto. Questa ricerca del gusto mi porta a modulare, in modo che anche semplicemente in un solo passaggio sul tuo palato, quindi a sfiorarti, un grano di sale che però ti aumenta l’acidità del palato rendendoti percepibile la fragranza del sale ed aumentando la percezione del tuo palato sugli altri ingredienti che succederanno. Come un succo acido di un agrume, concentrato in un solo punto del dolce, dà la possibilità poi di percepirne il distacco dagli altri. Se tu lo omogeneizzi e lo fai in maniera “francese” in tutto il dolce, hai una continuità che potresti non gradire
Diventa quasi stucchevole. Questa mi sembra la parte più bella di questo tuo lavoro, di questa tua ricerca, di questo tuo percorso anche perché poi te ne siamo grati quando ritroviamo sapori che avevamo quasi dimenticato. In questa omogeneizzazione del gusto, perdi tutte queste nuance, piccole sensazioni che invece sono quelle che caratterizzano e rendono unico un prodotto. Poi tu, fra le altre cose, vivi e operi in un giardino di Dio dove i profumi e tutto quello che hai è alla massima espressione
Sì, è verissimo tutto quello che dici. Appunto per questo poi gliene devo dare pienamente atto e quindi muovermi nella direzione che faccio arrivare a voi che lo assaggiate. Non basta avere l’ottimo ingrediente a disposizione se poi sbagli il processo di raccolta, conservazione, lavorazione ed assemblaggio. Sono tutti momenti necessari ed indispensabili ad esprimere comunque la validità della materia prima
Dimmi dei tuoi mieli. Tu utilizzi dei mieli molto aromatizzati
Noi aromatizziamo i mieli. Siamo stati proprio noi a tirare fuori questa gamma di prodotti. Perché il tutto nasce dalla nostra esigenza di avere a disposizione una dispensa di materie prime assolutamente naturali che ci dessero la possibilità di essere autonomi rispetto all’industria dei semilavorati per l’artigianato. Quindi essere liberi di creare ricette assolutamente nostre, proprie, espressione di tutto quello che dicevamo prima, di una cultura con profonde radici di una tradizione antica ed allo stesso modo di essere moderni. Però lo mettiamo a disposizione anche dell’ampio pubblico di consumatori e dei professionisti che se vogliono oggi possono scegliere, così come abbiamo fatto noi, di poter non utilizzare la chimica dell’aroma per fare da supporto gustativo al cibo. Oggi con questa nostra scelta nella direzione del naturale possiamo rendere a tutti possibile aromatizzare i cibi senza l’impiego di finti aromi
Quindi tu usi anche erbe aromatiche, usi agrumi…
Ma uso anche spezie, uso vegetali non assolutamente impiegati in pasticceria, come il peperone, il peperoncino, il pomodoro di Pachino, la frutta d’inverno, quella gialla, lo zucchino, quello verde primaverile, la cipolla, l’aglio
Quindi c’è una scelta praticamente infinita, quelli che sono i prodotti della terra in sostanza?
Sì, ma adesso ci sono sempre delle nuove esperienze, delle nuove prove che io accetto molto volentieri perché sono stimoli sensoriali che mi arrivano e mi sembrano spunti molto interessanti su cui lavorare. Poi magari fra uno, due anni di lavoro e di sperimentazione si trasformeranno in una nuova proposta. Per ora sono solo dei sistemi di estrazione di aromi dalla natura. Poi avendoli lì in laboratorio, abbiamo la possibilità di provarli ed assaggiarli nei vari momenti dell’anno, della giornata, delle stagioni. Questa possibilità di conservarli ci consente poi di utilizzarli anche destagionalizzando la presenza del prodotto fresco.
Questi mieli tu ovviamente li usi anche nella produzione dei dolci. Quindi non sono soltanto mieli da utilizzare in cucina in abbinamento ad un piatto, ma anche nella preparazione delle cose che fai, dal torrone etc.
È quello che facciamo quotidianamente, sono i nostri semilavorati interni
Dimmi qual è il dolce nel quale tu meglio ti identifichi, quello per cui dici “questo è proprio quello che volevo raccontare”
Quello che proprio mi ha dato grande soddisfazione, da cui sono derivati una serie di altri dolci che hanno completato l’assortimento della gamma e che lo hanno fatto ancora ripartire con una direzione che a me piace molto e cioè quella della stratificazione di dolci e salati. Il primogenito è stato il “mai abbastanza”. Il nome è stato attribuito da una cliente che non ne avrebbe avuto mai abbastanza. Era appena fatto, non aveva ancora un nome definito e quindi è andata per “mai abbastanza”
Come lo fai? Così parliamo di una cosa buonissima
E’ stato uno studio di quello che era in quel momento lì la mia voglia di realizzare qualcosa che mancasse dal nostro modo di fare pasticceria. Avevo voglia di fare, di costruire un dessert giocando sulle consistenze, sulle sofficità, ma allo stesso tempo sofficità accoppiate ad elementi da masticare, dove la masticazione fosse parte del gusto di assaggiare questo dolce. Si tratta di un biscuit di cioccolato fondente molto soffice e molto morbido, fatto senza impiegare farina, ma semplicemente con uova, zucchero e tanta cioccolata fondente con dei gherigli di noce leggermente tostati, ma più asciugati che tostati. Sormontato da uno strato di crema doppio fiordilatte sofficissima, aromatizzata con del pepe bianco in polvere. Sopra questo strato di crema, uno strato della nostra confettura extra di mele cotogne, perché poi il pepe bianco, è il miele al pepe bianco che aromatizza la crema
Quindi non è un pepe bianco così. È un miele al pepe bianco?
Esatto, per dare sempre quel tocco senza mai avere però la percezione piena della spezia che rovinerebbe il palato
Certo, sarebbe troppo violento
La confettura extra di mele cotogne a sua volta viene aromatizzata utilizzando dell’aceto balsamico tradizionale di Modena di 12 anni, per dargli quella velatura di balsamico, quella nota di acidità che non troverei nel frutto. Comunque ha una sua acidità, ma non è la stessa. Poi sopra questo strato ci sono due chicchi di uva di zibibbo di Pantelleria appassita che è stata ammorbidita in uno sciroppo di miele aromatizzato nello stesso aceto balsamico, ma di un’altra stagionatura, di sei anni
Un trionfo
Sì, una vera e propria costruzione, un progetto partito per raggiungere, per andare a toccare gli angoli del gusto
Quindi all’interno trovi di tutto, dal dolce, al salato, al piccante, tutto in maniera appena avvertita.
Da assaggiare.
CORRADO ASSENZA
Caffè Sicilia
in corso Vittorio Emanuele, 125, a Noto (Siracusa)
Telefono: (+39) 0931.835013