Per le due sorelle, il vino in casa era solo un gioco, a settembre era il loro momento di divertimento facevano il vino in casa nei tini, lo spremevano a mano, facevano le prove di vinificazione con il frullatore, lo filtravano con le vecchie federe di lino del corredo della madre, era davvero un gioco bellissimo per loro.
Il primo approccio al mondo del lavoro le vede impegnate in percorsi affatto diversi da quelli del vino. Ma la passione per la viticoltura è lì dentro di loro, e la voglia di giocare non è mai tramontata. Pur lontane dalla Sicilia, nei loro viaggi verso casa decidono di perfezionare le tecniche di vinificazione che fino a quel momento erano state estremamente artigianali. Tra il 1996 e 1997 cominciano a sperimentare alcune tecniche di vinificazione sul Merlot. Ricorda Marilena: “Cominciammo con il Merlot perchè è un vino che ci è sempre piaciuto, e noi abbiamo iniziato a fare quello che fondamentalmente piaceva a noi perchè non era pensato che diventasse una attività imprenditoriale, era una passione che comunque era contenuta in una dimensione familiare e personale non era pensata per diventare una azienda. Con questo Merlot venne fuori un vino che venne ritenuto molto piacevole dagli amici; la nostra produzione di circa mille bottiglie veniva quasi interamente regalata agli amici.”
E’ proprio l’incoraggiamento e il favorevole giudizio degli amici al prodotto che stavano facendo che spinge Daniela e Marilena a fare una riflessione più profonda sulla possibilità che quel gioco da bambine potesse avere uno sbocco professionale reale. Marilena racconta: “La scelta di ritornare è stata sospinta dalla voglia di avviare una attività che comunque fosse parte del nostro vissuto che servisse a farci sentire di nuovo padroni delle nostre cose che avevamo tralasciato e abbandonato. Non si può dire che ci sia stata una sola cosa che abbia fatto scattare questa voglia, non c’era una strategia dietro questo ma una serie di fattori che stavano creando le condizioni per cui noi potessimo decidere consapevolmente di fare queste scelte.”
Il vecchio e bellissimo cortile tutto lastricato in pietra incorniciato dai magazzini dove riposavano le botti quando i nonni facevano il vino negli anni Trenta e dove le Barbera hanno cominciato la loro avventura, erano inadeguati ad accogliere una struttura per la vinificazione in modo imprenditoriale. Ormai la decisione era presa, e dice Marilena: “Da lì si è cominciato il pensare ad una strategia di azienda che raccogliesse quello che era il nostro vissuto, i nostri sogni, i nostri desideri, la strada che volevamo percorrere. Abbiamo costruito la cantina. Abbiamo cercato di capire che vino avrebbe interpretato meglio il nostro modo di essere. Intanto abbiamo cominciato ad utilizzare quello che c’era. Siamo riusciti a recuperare un vigneto di Inzolia che era a mezzadria e cercare di salvare quelle piante che hanno più di 30 anni. E’ stato bellissimo alla fine produrre un vino da un vigneto così vecchio. Su questo vecchio vigneto siamo intervenute con una azione di sistemazione dell’esistente, abbiamo colmato le fallanze con barbatelle selvatiche. Le barbatelle selvatiche sono state seguite e curate come se fossero state piante ornamentali, dopodichè è stata innestata la talea della pianta accanto in modo da preservare la tipologia di uva.”
Ma il prodotto vino è anche e soprattutto figlio della terra dove il vigneto cresce e ogni chicco d’uva deve raccontare la storia della sua terra. Marilena quando descrive cosa si aspetta dal suo vino non fa che rafforzare questo pensiero: “Il nostro modo di essere è il nostro territorio, il mare, il fiume Belìce, noi siamo dentro la riserva naturale della foce del fiume dove nidificano gli aironi cinerini, dove nidificano le gru, dove ci sono i gigli di mare che sbocciano sulla spiaggia, dove c’è lo scarabeo nero, noi siamo questo, mare e vento, aria e luce. E questo deve essere nei nostri vini. I nostri sono vigneti di mare e quindi il terreno è salato. Se tu assaggi un chicco d’uva di agosto e la senti dolcissima e allo stesso sapida, salina. Ci senti questo profumo del sale e del mare che secondo me senti in tutti i vini siano essi bianchi o rossi, fatta la barrique o solo acciaio. Il denominatore comune di tutti i nostri vini è di sentirci l’aria di mare. E si sente tantissimo secondo me, e si sente nei bianchi in maniera straordinaria perchè quando stappi una bottiglia di Inzolia senti proprio il vento di mare, il leggero amaro. Nei rossi la mineralità della terra salata.”
Interessante il pensiero di Marilena sull’approccio agli autoctoni rispetto agli alloctoni. “La scelta è stata quella di non usare legno sugli autoctoni. Molta parte del percorso che è stato fatto sugli autoctoni da grandi enologi che hanno investito il loro nome e la loro esperienza in Sicilia, e penso al Nero d’Avola e al lavoro che è stato fatto su questo vitigno, nella zona di Grotte in particolare, che mirava e mira ancora adesso a creare dei vini di grande struttura e concentrazione. Cioè far diventare il Nero d’Avola un grande Cabernet Sauvignon. La nostra scelta è stata invece di produrre dei vini autoctoni che rispettassero molto il territorio e che fossero estremamente varietali, che ci si sentisse l’uva di base perché in realtà questo frutto non si conosce. Se io faccio una operazione di Inzolia in barrique, cosa che è stata fatta negli anni passati, e di Nero d’Avola iper strutturato, concentrato, denso, mangia e bevi in qualche modo, ho fatto un’operazione, dal nostro punto di vista e per la nostra filosofia, che non è un buon servizio alla divulgazione e alla conoscenza di questi vini, che invece hanno delle caratteristiche anche di delicatezza e che sono estremamente piacevoli da scoprire.”
Marilena si accende quando parla dei suoi vini: “L’Inzolia è stata fatta per ragioni storiche, l’Inzolia di Menfi e di Belìce è molto diversa da quella che si trova a Marsala e che se serve come base per il Marsala, insieme al Grillo. La nostra Inzolia, probabilmente perchè un vigneto vecchio e perchè noi la consideriamo in vinificazione quasi fosse uno Chardonnay, non ha zucchero residuo, è molto secca, molto asciutta. Noi ci crediamo molto l’Inzolia, è un’uva particolare che va trattata bene.
Il nostro Nero d’Avola, che io penso sia una Nero d’Avola femmina, ti da quella sensazione di morbidezza di delicatezza di quello che una donna è poi, cioè una femminilità del vino che in qualche modo si contrappone, non in maniera polemica, ma si contrappone come approccio a questa scelta di Nero d’Avola maschio muscoloso iperpotente iperlegnoso aggressivo. Noi non abbiamo Catarratto, abbiamo una vigna di Trebbiano che vorremmo espiantare e impiantare un vitigno autoctono bianco, forse un Grecanico, secondo me un’uva che ha delle bellissime potenzialità, oppure la spumantizzazione del Catarratto. Abbiamo tante idee. Per quanto riguarda i rossi sono convinta che i vitigni internazionali abbiano avuto un adattamento straordinario al microclima del fiume Belìce, la sera verso mezzanotte, l’una senti freddo, freddo da maglioncino nel mese di agosto. Nel letto del fiume crescono alberi e tutta la vallata è di un verde molto intenso e questa escursione termica così elevata fra giorno e notte crea delle condizioni, per i rossi internazionali, specialissime. In questo momento abbiamo cinque vini, tre internazionali e due autoctoni: il Merlot, il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay gli uni e l’Inzolia e Nero d’Avola gli altri. Il Merlot è una uva che si è adattata così bene al nostro territorio che la sua espressione finale è straordinaria.”
Marilena si sofferma sul grande lavoro che c’è ancora da fare sugli autoctoni, soprattutto il dover colmare una mancanza di conoscenza sulla selezione, sull’allevamento e sulla vinificazione ottimale di specie varietali che sono rimaste a lungo nell’ombra di cantine contadine senza mai cercare una espressione di alta qualità. “Gli autoctoni che si sono evoluti nel corso dei secoli o dei decenni e che sono arrivati fino ad oggi sono stati selezionati sulla base di alcune caratteristiche che 100 anni fa erano le caratteristiche del vino che allora si doveva produrre e che oggi non si deve più produrre, non si vuole più produrre. Secondo me nella scelta e nella sperimentazione degli autoctoni e nella selezione clonale degli autoctoni bisogna andare a capire quali sono e quali di questi possono dare un vino con caratteristiche che noi oggi riteniamo debba avere un vino di qualità. Non lasciamoci affascinare dall’autoctono a tutti i costi perchè l’autoctono va, l’autoctono tira. Ma dobbiamo produrre un vino che abbia una qualità elevatissima che possa incontrare il gusto del mercato per la sua eccellenza e piacevolezza e non soltanto perché di moda.”
Nella attuale filosofia della cantina Barbera non è contemplata l’ipotesi dei blend e ho trovato affascinante la spiegazione che ha dato Marilena: “In un vino secondo me è interessante trovarci anche le tipicità dell’annata, se quest’anno ha fatto caldo io nel vino ce lo devo sentire, non lo voglio correggere. Dal mio punto di vista è bello tirar fuori da quell’uva quello che quell’anno è stato, esprime un momento della storia della mia vita e della vita di chi lo beve. Se io lo correggo aggiungendoci un pò di questo che era più acido un pò di quello che era più maturo alla fine avrò senz’altro continuità di prodotto, ma avrò perso in originalità dell’annata, il vino diventa un prodotto.”
Di una semplicità disarmante la scelta dei nomi che Daniela e Marilena hanno dato ai propri vini, sono i nomi dei posti dove le uve crescono, e dipende da come loro hanno sempre chiamato quella o quell’altra porzione di tenuta. Il Nero d’Avola di chiama La Costa perchè sta in costa, cioè in una parte di pseudo collina; l’Inzolia “Dietro le case” perchè sta dietro le case; lo Chardonnay è la Piana del pozzo dove hanno il pozzo con l’acqua; poi l’Azimut, il Merlot, questo è un nome che si discosta perchè è il primo vino, aggiunge Marilena: “azimut significa direzione in arabo e quindi azimut è il sogno di arrivare di prendere una direzione e di andare in quella direzione, è più filosofico riguarda più una dimensione dell’anima piuttosto che una dimensione fisica”; e, infine, la Vota, la svolta dove il fiume gira, è questo un vigneto di 2 ettari di Cabernet Sauvignon che si trova all’interno di una ansa del fiume.
L’ultima domanda a Marilena sulla estensione dei vigneti e lei, pronta: “10 ettari di vigneto su un potenziale di 30, ma ci arriveremo, ci arriveremo a 30, siamo testarde.”
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