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Claudio Stefani

 

Un prodotto di eccellenza, che racchiude dentro di sé una storia che si perde nei ricordi, l’aceto balsamico. In qualche goccia densa e profumata di questo liquido divino sembrano concentrarsi non solo profumi e sapori che ci regalano emozioni infinite, ma anche la tradizione, il lavoro e la passione di una città, Modena, che con orgoglio continua a produrre con serietà e competenza il frutto migliore del suo operare. La conversazione con Claudio Stefani ci lascia affascinati.

Claudio appartiene a una famiglia che da sempre, credo che si possa dire, produce aceto balsamico, la famiglia Giusti. Il racconto bello e avvincente ci porta nelle soffitte delle acetaie, ci illustra il processo di lavorazione, ci fa capire l’importanza del legno e del passare delle stagioni e degli anni, perché tutto sia perfetto, perché davvero possiamo assaporare quel liquido straordinario. E poi ci ricorda gli uomini e le donne che con pazienza e perizia lavorano intorno ai vecchi legni, li curano con amore, seguono l’evolversi dell’aceto con infinita pazienza, danno a ogni risultato qualcosa di sé, della propria capacità, della propria sensibilità. Un messaggio bello e intenso che noi dobbiamo imparare a cogliere perché possiamo godere appieno della beatitudine che è capace a trasmetterci.

 

Claudio, sarebbe importante, per capire, ripercorrere almeno a larghi tratti la storia dell’aceto balsamico.

 

Le prime documentazioni di aceto balsamico sono intorno al 1000 quando l’imperatore Enrico III di Svevia venne in Italia, e ricevette da Matilde di Canossa, in dono, come è scritto nei libri, negli atti di quel tempo, un boccettino di un prodotto preziosissimo da centellinare, l’aceto balsamico, che era descritto come un oro nero. Ancora oggi si parla ogni tanto di oro nero. Una volta lessi in un articolo che l’aceto balsamico stravecchio veniva considerato il liquido più costoso che ci fosse. E’ più costoso dell’oro liquido e non ci sono altri prodotti commerciali che siano così cari al millilitro. Poi magari a volte si esagera nelle cose, però effettivamente come prezzo unitario del prodotto si può parlare di uno dei prodotti più cari al litro, che si possono produrre, si possono commercializzare.

 

Quando abbiamo le prime testimonianze delle acetaie Giusti?

 

Quando gli Estensi, che avevano la capitale a Ferrara, nel 1598 furono mandati via dal papa che estese il suo dominio anche lì e dovettero decidere se insediarsi a Modena o ad Arezzo, luoghi all’epoca poco appetibili pieni di castellazzi e di terreni paludosi. Per nostra fortuna scelsero Modena. La prima cosa che fece il duca Cesare d’Este, fu di stilare le liste delle corporazioni del tempo, in modo da essere sicuro di avere una base di gente da tassare. Per merito di queste liste, noi abbiamo la prima testimonianza dei Giusti. Compare il nome di Giovanni Francesco Giusti. Lui è il primo, di questa serie di generazioni che continua fino ad oggi, che aveva l’acetaia. La data di fondazione la lasciamo ufficiale al 1605, che è la data sotto la quale per la seconda volta compare un nome dei Giusti all’interno dei registri del duca. In realtà. noi, guardando meglio in questi registri, abbiamo visto che il nome c’era scritto anche nel 1598.

 

Quindi già esisteva evidentemente come acetaia?

 

Evidentemente già esisteva, ma da quando non si può sapere perché documentazioni non ce ne sono. Una cosa è certa e cioè che erano già allora tra quelli che facevano l’aceto balsamico, per fare un aceto balsamico ci vogliono degli anni e quindi non esistevano da cinque anni. Poi a quel tempo chissà le attività che cos’erano, magari questi avevano un sottoscala. L’idea è che effettivamente la tradizione di come si fa l’aceto balsamico a Modena esiste da tanto, almeno da un millennio, e nella famiglia Giusti esiste da almeno 500 anni, se non di più, ma questo non lo sappiamo.

 

Diciamo che è la famiglia più antica tra quelle che producono aceto balsamico

 

Dal punto di vista dell’aceto balsamico, assolutamente sì. Poi è molto facile essere i più antichi in questo settore perché in realtà molti dei concorrenti di oggi sono aziende nuove che si sono messe in questo business.

 

Il legno è un componente essenziale per la produzione dell’aceto balsamico …

 

A Modena in tanti abbiamo botti e barilotti nei granai ereditate dal nonno, regalate, portate in dote dalle spose, una cosa molto tipica però se ne ha una, tre, quattro, una piccola batteria, poi magari la botte più pregiata veniva appunto data in dote. Quindi normalmente un modenese è abituato a vedere in un granaio tre, quattro botti. Le famiglie nobili dell’epoca avevano due, tre batterie. Poi c’erano i bottegai, commercianti che lo facevano per il loro uso e per naturalmente venderne qualche bottiglia o comunque per la loro trattoria che ne avevano qualcuna di più. Dopo di che c’era il duca che ne aveva tantissime, le famose acetaie del duca e qui si collega Giusti che appunto era quello che aveva sempre cercato di prendere più barili. Ad esempio io mi ricordo, quando ero piccolo, che lo zio mi raccontava che se qualcuno voleva fare un po’ di soldi, prendeva il suo barile di aceto balsamico stravecchio e lo vendeva a Giuseppe Giusti. Lui anche in questo modo è andato a collezionare, a raccogliere, tutte le volte che poteva, barili. Che poi erano regolarmente barili di una famiglia di contadini che ce l’avevano lì da cent’anni. La storia dell’aceto balsamico è molto spesso la storia dei barili.

 

Avete adesso una serie di barili di vecchissima data?

 

Noi ne abbiamo una collezione, ma in realtà funzionano ancora

 

Vengono utilizzate queste vecchie botti?

 

Sì, vengono utilizzate e sono fondamentalmente il valore della società. Nel senso che da lì nasce quello che ci permette di fare l’aceto balsamico così. C’è la nostra ricetta, ma c’è anche la presenza di questi aceti che sono molto vecchi, sono più o meno 600 botti e barili di quantità variabile, di legno variabile, di forma variabile dai più piccoli da 50 litri ai più grandi di 200-250 litri. Ce ne sono alcuni che provengono dal 1600-1700-1800, sono più o meno tutti almeno del 1800, e che hanno contenuto da sempre un aceto balsamico. Quando contenevano un aceto balsamico nel 1700-1800, vuol dire che avevano un aceto ottimo perché solo oggi si fa anche dell’aceto non buono, una volta non esisteva. L’aceto balsamico è sempre stato un prodotto di grandissima qualità.

 

Il sistema di produzione era all’epoca affatto diverso …

 

Per poter chiamare un aceto, “balsamico”, questo doveva essere invecchiato almeno cinquanta anni, perché il metodo di produzione prevedeva una evaporazione naturale del mosto fino a una riduzione del 50 per cento. Bisognava avere una pazienza infinita. Questo metodo allungava tantissimo i tempi di invecchiamento del prodotto.

 

Qualcosa è cambiato successivamente …

 

Sì, a fine ‘800 si incominciò a cuocere il mosto con le caldaie a cielo aperto per ridurre già da subito del 50-70% il prodotto. Però effettivamente, come tutte le cose che una volta venivano prodotte in poca quantità e con un grande rispetto della tradizione, rimaneva un prodotto costosissimo. Per questo, a Modena, in quei tempi, come si legge nei libri del 1900 che descrivono l’aceto balsamico, il balsamico era un prodotto da non vendere, da non commercializzare, ma da avere e da usare solo per consumo personale e da dare in regalo.
La fortuna dell’aceto balsamico è stata che negli ultimi 40 anni ha avuto uno sviluppo italiano e mondiale molto forte e quindi oggi molti, per nostra fortuna, sono interessati a questa storia, a come producevano l’aceto balsamico e come si produce l’aceto balsamico.

 

Perché aceto “balsamico”

 

La parola “balsamica” oggi è legata alla presenza di alcuni aromi, però in origine “balsamo” identificava qualcosa di benefico. La caratteristica dell’aceto balsamico è di unire due componenti, quello di avere l’acidità, ma di essere dolce e di emanare degli aromi. Non so in antichità, ma comunque dal 1000 in poi, si pensava che facesse bene e fin dall’inizio del ‘900, per esempio a Modena lo si dava alle puerpere.

 

Qual è la caratteristica della aceto balsamico?

 

La base è ovviante acida, l’aceto balsamico ha sempre un’acidità del 6%. Un aceto di vino normalmente ha un’acidità che va dall’ 8 all’11%. Quindi in pratica vuol dire che è abbastanza acido, soltanto che questa acidità non si avverte quando lo si assaggia, se l’aceto è buono, è invecchiato, perché è talmente denso e concentrato e le note dolci sono così forti che compensano molto. Al contrario, in un cattivo aceto balsamico, si sente molto l’acidità e non si sente il resto, eppure hanno la stessa acidità, sempre 6% .

 

Claudio come si produce l’aceto balsamico tradizionale di Modena?

 

Il mosto deve essere di uve Trebbiano. Lo si versa in un prima botte che si chiama “Badessa”, a volte è un tino, a volte è una botte più grande.

 

Utilizzate un legno particolare?

 

Per la Badessa no. La regola è che i legni siano diversi, gelso, castagno, noce, ciliegio, rovere, l’insieme di questi. Però non c’è una regola, proprio perché era un prodotto tradizionale, i processi una volta non erano così precisi. Per cui quello che succedeva nella realtà è che prendevano il legno che avevano.

 

Purché diverso

 

Esatto. 

 

Cosa si fa del mosto?

 

Il mosto viene lasciato 24 ore in modo che vengano su le graspe e le bucce che poi si tolgono.

 

Si toglie il cappello.

 

Sì. Dopo queste 24 ore, prima dell’avvio della fase di fermentazione che lo trasformerebbe in vino, lo si cuoce in una caldaia a cielo aperto per più di 4 ore, fino a farlo ridurre del 50-70%. Questo porta ad avere un liquido scuro, il mosto cotto, molto dolce. Oggi hanno anche provato a venderlo così e lo chiamano Sapa. A questo punto il mosto viene inserito nella Badessa.

 

E’ molto grande la Badessa?

 

Non sono mai molto grandi le botti dell’aceto balsamico, in modo da favorire l’invecchiamento, sono sui 200 litri. La cosa importante è che la botte non sia botte nuova. Quando si fa l’aceto se si utilizzano delle botti che sono state già usate per l’aceto balsamico da tanti anni, si ha un grosso vantaggio. Il legno è già impregnato dei sapori che l’aceto balsamico precedente ha lasciato. In una botte antica, essendo così impregnata, è come se l’aceto ci fosse già dentro e poi tante volte l’aceto dentro c’è davvero. Nel senso che noi in realtà andiamo a rabboccare botti che sono trecento anni che non vengono svuotate. Quindi si continua a partire da una base di aceto molto buono e lo si tiene vivo, se ne estrae una parte e lo si rincalza.

 

A questo punto cosa succede?

 

Che il secondo anno si sposta l’aceto dalla botte più grande e lo si mette nella botte più piccola. La Badessa viene di riempita con un mosto cotto nuovo e così via.

 

Quindi c’è un tempo di permanenza per singola botte?

 

Un anno o mezzo anno, dipende, bisogna vedere quanto è evaporato, da come è stata l’estate. Praticamente bisognerebbe farlo a settembre perché durante l’estate, l’aceto-battero lavora tantissimo. Lavora, quindi crea attività ed oltretutto favorisce evaporazione. Mentre invece d’inverno avviene l’amalga delle componenti che sono separate durante l’anno.

 

A settembre si fanno i mosti di nuovo e tutto si sposta in avanti nelle botti

 

Esatto, si ha una batteria decrescente che tradizionalmente è di 5-7-12. Anche qui hanno sempre utilizzato quello che avevano. Quindi se uno ha una batteria di 12 sicuramente non preleva fino a quando l’aceto non ha 12 anni. Però nella realtà quello che succede è che la gente si ritrova delle acetaie già buone e, quando c’è del liquido pronto, ne estrae una parte, lo mette in vendita e va dalla botte precedente, quella un po’ meno vecchia, ed aggiunge un’altra parte. In questo modo ha abbassato la qualità dell’aceto buonissimo e deve aspettare un altro anno perché ritorni a quella bontà. Se ne pesca troppo, dovrà mettere una quantità maggiore di aceto più giovane ed ha due possibilità, o l’anno dopo estrae dell’aceto che è ancora buono, ma non è così invecchiato, oppure deve aspettare un altro anno.

 

Invece per le maturazioni molto più lunghe dei 12 anni, deve allungare ancora questo processo?

 

Sì, ma senza aggiungere botti. Una volta che l’aceto ha fatto un’evaporazione che lo porta ad essere così vecchio, dopo non è che perda così tanto e quindi non è che ci sia bisogno di botti piccolissime. Faccio una nota. Il passaggio in botti piccole è sempre per far sì che il contatto con il legno sia ampio. Intanto le botti dell’aceto balsamico hanno un bel buco quadrato in alto che permette una bella evaporazione, differentemente da quella del vino che hanno solo un buco tondo piccolo. Perché quelle stanno chiuse ed invece queste stanno aperte e lavorano con l’ossigeno. Non solo, della superficie l’aceto riempie i 2/3 della botte e quindi la superficie di scambio è elevata. Ricordo che a una bottiglia di aceto balsamico aperta succede pochissimo perché ha una superficie di scambio bassissima.

 

Quindi in questo caso si mantiene nell’ultima botte?

 

Sì, continua ad evaporare, continua ad addensarsi sempre di più e dopo di che lo si lascia semplicemente invecchiare. Se invece che pescare ed rincalzare, io lo lascio invecchiare tranquillamente, arrivo ad avere qualcosa di ancora più buono. Se uno ha la fortuna di ritrovarsi un’acetaia molto vecchia e quindi con aceti che sono tutti stravecchi, sono tutti tradizionali di 25 anni, perché solo quelli venivano fatti una volta, lì si tratta di vedere con quale quantità e con quale frequenza negli anni, togliere delle parti. Se si toglie una parte piccola, c’è la garanzia di fare dello stravecchio di 25 anni o quello che è. Se ne tolgo un po’ di più, riesco a ritornare a quella qualità con il tempo necessario.

 

E’ come se ci fosse uno sforzo iniziale di impostazione. Per cui, per esempio, è come se io i primi 25 anni non facessi nulla e dopo di che cominciassi a togliere ed aggiungere il nuovo, aspetto un anno ed ogni volta io ho 25 anni.

 

Infatti tante volte ai bambini venivano e vengono regalate delle botti appena nati in modo che quando sarà grande avrà l’aceto balsamico. Si faceva spesso questa cosa.

 

Siamo alla fase finale, il prodotto viene imbottigliato …

 

Per questo è nato da diversi anni un Consorzio, che prima aveva soltanto la funzione di assaggio, di verifica etc.. Da quando è esploso il mercato del tradizionale, questo Consorzio imbottiglia anche. Ogni produttore porta il proprio aceto in taniche al Consorzio, una commissione di degustazione lo assaggia; è molto severa, per fortuna del prodotto. I componenti della commissione hanno 65-70-75 anni, e hanno l’autorevolezza di mandare indietro prodotti non di eccellenza.  Assegnano un punteggio, a seconda dei loro assaggi, e ci sono tanti punteggi, 180-220, fino a 300 e, a seconda del punteggio, lo classificano come affinato, cioè un aceto che ha le proprietà di un balsamico che è invecchiato almeno 13 anni o stravecchio, 25 anni. Tu poi puoi anche portargli un aceto che è invecchiato 40 anni, loro te lo classificano comunque come stravecchio, è l’unica categoria, però magari prendi un punteggio molto alto. A quel punto lo imbottigliano nei loro impianti di imbottigliamento, mettono la loro controetichetta - ci sono due Consorzi diversi, ma il principio è quasi identico, bottiglia identica -  lo sigillano con una capsula bordeaux o bianca se di dodici anni, oro se invece di 25 anni. Te lo rimandano a casa e tu ci metti la tua etichetta.

 

 In questo caso se c’è uno stravecchio di 40 anni, ci aggiunge la data o no?

 

No, perché comunque non è una data. Differentemente da una bottiglia di vino, non si può mai dire “è stato prelevato…”.

 

Quindi come si fa a distinguere un 25 anni da un 40 anni?

 

Non si distingue. Infatti chi vende lo stravecchio, normalmente vende un stravecchio che è stato invecchiato 25 anni. Se lo invecchia di più, se ha la capacità commerciale, di marchio, di convincere il cliente che è più buono degli altri stravecchi, bene per lui.

 

Qual è la differenza con l’aceto balsamico di Modena?

 

C’è una differenza nella ricetta. Nell’aceto balsamico di Modena, ci si mette anche l’aceto di vino nella miscela iniziale. Aceto di vino o qualunque altro aceto. L’aceto balsamico tradizionale parte solo dal mosto, però se si fa invecchiare molto l’aceto balsamico di Modena, la differenza con il tradizionale scompare. Perché alla fine nell’addensamento, nell’invecchiamento, nella raccolta di profumi che viene dai legni, il prodotto diventa pressoché uguale.

 

E allora?

 

Prima mi chiedevi parlando del tradizionale “come faccio a sapere se ha 25 o 40 anni?”, in realtà è un problema da poco perché già un aceto balsamico di 25 anni è un aceto buonissimo. Gli aceti che escono dal Consorzio sono buonissimi, quando hanno la capsula oro sono l’eccellenza. Se io li invecchio di più, magari provo a venderlo ad un po’ di più, ma il consumatore è comunque tranquillo. L’aceto balsamico di Modena invece è un prodotto che può costare 50 centesimi al mezzo litro oppure può costare 20 euro al quarto di litro. È aceto balsamico di Modena quando si usano aceti di vino, in una certa percentuale almeno, mosti cotti o concentrati, in una certa percentuale, non meno, e lo si fa passare per più di 60 giorni in dei contenitori di legno.

 

60 giorni o sei anni.

 

Sì, può stare 60 giorni, può stare 6 anni, può stare dieci anni e non lo puoi neanche scrivere. Qui entriamo in un mondo diverso, cioè la protezione del prodotto aceto balsamico di Modena dalla concorrenza internazionale. Il discorso può essere molto interessante però la poesia non c’è più, è un’altra cosa.

 

Sì, perché diventa più commerciale

 

Noi ci teniamo che venga salvaguardato il prodotto. Non facciamo mica l’aceto tenendolo 60 giorni in botti, però ci interessa che non si scriva “aceto balsamico di Modena” su una cosa fatta in Cina, che è fatta con l’acciaio, o altro. Però è anche vero che gli attuali produttori di aceto balsamico, quelli che detengono la maggior parte del mercato nel mondo, comunque fanno l’aceto balsamico con molti concentrati da due lire e aceti di vino da due lire. Non ci si può far niente perché in questo modo l’americano compra l’aceto balsamico di Modena e lo paga due dollari, sennò non lo avrebbe. A noi, come Giusti, quello che ci interessa è che venga conosciuto l’aceto balsamico di Modena come prodotto. Dopo di che, con la nostra politica di brand, visto che abbiamo questa storia ultrasecolare dietro, proponiamo dei prodotti molto cari, molto buoni, ben invecchiati. Se un americano compra una bottiglia di aceto balsamico di Modena da due dollari, sarà il modo per cui prima o poi arriverà a comprarne quella da 25 dollari, che è di Giusti.

 

Puntare tutto sulla qualità quindi

 

Noi giochiamo sulla qualità e rimaniamo lì perché è il nostro mestiere, è quello che sappiamo fare, non siamo bravi nel fare 200.000 bottiglie al minuto, sono bravi gli altri, fanno benissimo a farlo. Siamo in fondo dispiaciuti che giri aceto balsamico di Modena, che in realtà è una cosa che non è assolutamente buona. Ma non ci si può far niente.
Noi abbiamo degli aceti balsamici che sono migliori del tradizionale, perché il tradizionale si tiene invecchiato 25 anni, mentre invece abbiamo delle botti con dell’aceto che ha 70-100 anni, c’è di tutto. Non passerebbe un’analisi organolettica del Consorzio, ma il Consorzio stesso sarebbe entusiasta di questo prodotto.

 

Non avete pensato a dare un ulteriore differenziazione al prodotto

 

Il problema è che ci sono delle leggi molto rigide e non si può proporre un aceto balsamico di Modena in una bottiglina da 100 cl e non si può proporre aceto balsamico tradizionale, se non nella bottiglia del Consorzio. Quello che ci interessa è vendere degli aceti balsamici di Modena molto buoni. Noi abbiamo un prodotto che si chiama “Banda Rossa”, che è invecchiato almeno 12 anni, ma non lo sappiamo neanche noi perché prelevato dalle botti esattamente con il sistema che dicevo prima. Qual è il problema? Che quella bottiglia Giusti l’ha sempre venduta, la vendeva in una bottiglia da 250 cl, prendeva la sua etichetta e ci metteva una banda rossa per dire che quella era la sua riserva speciale. Questa bottiglia si vende da inizio secolo, molto prima che Giugiaro disegnasse la bottiglietta del tradizionale, e noi la vendiamo effettivamente molto cara.

 

E' un aceto balsamico di eccellenza

 

Questo aceto balsamico è più o meno come un tradizionale, però è fatto con aceto di vino, e riposa in barili, è praticamente la nostra riserva. Abbiamo adibito alcuni barili al tradizionale, ma la maggior parte dei barili servono per fare questi stravecchi. In realtà se io devo dire qual è il nostro prodotto più buono, dico che è questo, perché è il prodotto che più caratterizza i sapori giusti e perché è il prodotto che nessun altro ha. E’ il nostro orgoglio, la capacità di fare un aceto come il Banda Rossa che viene pescato da quelle 500 botti lì, con quel sapore lì che non è neanche così dolce come il tradizionale, è dolce ma ha anche quell’acidità che serve, e che piaceva a Giuseppe Giusti.

 

L’altro vostro aceto di punta è forse più adatto all'uso quotidiano

 

Sì, è l’altra nostra ricetta, quella dell’aceto più classico che c’è, con la bottiglia bianca, con le medaglie in oro e lo stemma del re. E’ il nostro aceto utilizzabile, cioè quello che è buono da mettere nell’insalata e nelle altre cose. E’ un aceto speciale e Giuseppe Giusti faceva due aceti, uno per uso quotidiano ed uno per riserva speciale. Quello quotidiano di Giuseppe Giusti riesce a dare comunque qualcosa di straordinario. La riserva speciale di Giuseppe Giusti è più o meno un tradizionale. Però non lo vogliamo vendere come tradizionale perché tradizionale fa perdere molto la personalizzazione del prodotto. Preferiamo venderlo come Giusti Banda Rossa.

 

La produzione non si limita a questi tre prodotti

 

No, attorno al Tradizionale, al Banda Rossa e al Medaglie d’Oro,  nasce una gamma di prodotti più o meno buoni. Cioè noi abbiamo fatto un aceto che è appena inferiore a questi due, sia nel campo degli stravecchi, sia nel campo degli aceti da uso normale. Poi abbiamo fatto un aceto che viene chiamato Riccardo Giusti, perché è una ricetta che utilizzava questo Riccardo che visse a inizio ‘900 che prevede la cottura del mosto fino a farlo diventare marmellata, poi si aggiunge l’aceto di vino e si riparte da lì, da una miscela densissima. Questo ci serve per provare a proporre anche un aceto che sia più denso senza essere invecchiato 40 anni.

 

Qual è la vostra produzione complessiva

 

Sono migliaia di bottiglie, la produzione è limitata, ma non limitata fino al punto da non riuscire a muoversi.

 

 

GRAN DEPOSITO ACETO BALSAMICO
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