Il territorio è quello di Castellina Marittima, poco più di sessanta ettari limitati in un contesto di suggestiva e straordinaria bellezza, è una tenuta veramente meravigliosa,ancora selvaggia, non lontano dal mare con l’influsso di quest’ultimo che si riverbera in modo particolare su quello che è il quadro organolettico dei vini.
Gian Annibale Rossi di Medelana racconta con tono garbato e con parole ricche di significato la sua avventura nel mondo del vino.
“L’azienda in cui ho avuto la fortuna di operare per trentasei anni è un azienda che è in una posizione a cui il Padre Eterno ha voluto dare delle belle cose intorno, io credo di essere stato, spero, di essere stato molto attento a non fare danni all’ambiente ma anzi di cercare di proteggerlo il più possibile. Siamo pieni di cinghiali, di caprioli, di selvaggina volatile, comprese le cicogne. Ho seguitato ad usare per produrre il vino gli strumenti che usava mio padre, mio nonno e il mio bisnonno prima di loro, perché io non credo moltissimo a una tecnologia esasperata. Operiamo ancora con una cantina che è stata costruita centocinquanta anni fa che, per raccontare un piccolo aneddoto, era rivestita all’interno da un muro di mattoni, con una volta anch’essa in mattoni; in mezzo c’era uno spazio e in fondo c’era e c’è tuttora un grande forno per scaldare la cantina durante le fasi post-vendemmia e questo sistema di riscaldamento, con intercapedine da cui uscivano ogni tanto delle bocchette con un piccolo saliscendi di ferro per regolare la temperatura, era un sistema di aria condizionata dell’epoca.
Ho sempre ammirato quello che hanno fatto le persone prima di me, ho cercato di inserirmi nel miglior modo assieme ai miei collaboratori, per produrre il vino che mi è sempre piaciuto; mio bisnonno in un’altra regione d’Italia (perche le nostre origini non sono toscane bensì bolognesi) era riuscito ad ottenere all’esposizione di Parigi del 1889 una medaglia d’oro, cosa che all’epoca nel nostro paese non era molto comune: già a quel tempo era alla ricerca della “qualità” ed io ho cercato di seguire questa cosa”.
LA DEGUSTAZIONE
Castello del Terriccio
Il Castello del Terriccio un vino che ha una composizione di vitigni prevalentemente internazionali dove il Syrah gioca un ruolo fondamentale, piu o meno la metà per il contenuto che offre nel bicchiere,c’è una percentuale di Petit Verdot del 25% e una non meglio precisata percentuale del 25% di altre uve.
Il dott. Rossi precisa: “Il motivo per cui è difficile saperlo è questo: io ero stato molto condizionato dall’ambiente. I miei vicini di Bolgheri avevano preso dei vitigni francesi conosciutissimi e avevano prodotto il Sassicaia, l’Ornellaia e poi il Guado al Tasso e allora io quando ho cominciato a convertire in vitigni internazionali ho usato per il Lupicaia gli stessi vitigni perchè si sposano benissimo sul nostro territorio sempre con dei toni molto francesi che trasportati da noi e quindi dall’oceano alle rive del Tirreno, con naturalmente delle differenze di clima e di suolo notevolissime, hanno dato questi vini che vi ho appena nominato. Io da principio sono andato molto pedissequamente nel loro solco avendone un discreto risultato. Ma volevo fare qualcosa di molto più aziendale e molto più direi tirrenico. Nell’inverno del 97/98 e nell’estate successiva sono andato con un compianto grande esperto da Nizza ai Pirenei e abbiamo assaggiato da piccoli produttori perlomeno un centinaio di vini diversi. Dopo diverse scremature siamo arrivati a quattro o cinque vitigni: ci piacevano moltissimo due syrah, un petit verdot e tre o quattro vini che gli stessi proprietari di queste vigne non erano più in grado di dire precisamente cosa fossero. Lui ha preso i legni, ha fatto le marze e poi le abbiamo messe a dimora. Era assolutamente un vino mediterraneo; io volevo fare un vino mediterraneo e non più un vino dell’oceano anche se portato in un piccolo mare interno e questo è quello di quello che più mediterraneo che è venuto fuori”.
Castello del Terriccio 2005.
Syrah, Petit Verdot sono vitigni che non hanno certo carenza di antociani. Il Colore è particolarmente scuro, cupo al centro del bicchiere, con toni ancora giovanili, con toni rubino ma anche con sfumature violacee.
I profumi esprimono un ventaglio olfattivo piuttosto ampio, il vino è in uno stato di forma notevole e non manifesta asperità né nella fase olfattiva né nella gustativa i profumi sono abbastanza fedeli ai vitigni. Il naso è di straordinaria eleganza ed esprime un ventaglio di profumi che vanno dallo speziato al pepe; c’è il sentore di tabacco biondo, una bella nota fruttata e un tocco balsamico, tutto in un quadro di freschezza e di eleganza: visciole, more, more di gelso. Un quadro piuttosto articolato molto interessante. La compattezza, quella concentrazione avvertita al naso, viene confermata dalla gustativa. C’è una fase centrale in cui cogliamo una bella ricchezza di estratti, l’attacco non è in punta di piedi nel cavo orale ma di grande autorevolezza, di prepotenza. Il vino poi si allarga, si espande bene, avvertiamo una bella acidità e, nel finale, una bella persistenza piuttosto lunga dopo la deglutizione, con un ritorno puntuale, quasi didascalico, di quelle note che avevamo avvertito all’olfattiva.
Castello del Terriccio 2003
Il colore è molto compatto appena più evoluto sull’unghia rispetto al 2005. E’ difficile trovare delle annate 2003 con profumi che non virino verso note marmellatose che qui si notano sotto forma di confettura di ciliegia e anche di confettura di prugna, ma il profilo mantiene connotati di freschezza. Si avverte, in misura maggiore rispetto al 2005, la nota balsamica, un sentore di eucaliptolo quasi di menta molto piacevole e una punta di alloro e di sentori verdi di macchia mediterranea. Una certa differenza si nota alla gustativa; nel 2005 c’era una perfetta corrispondenza tra naso e bocca mentre qui l’aspetto olfattivo esprime una leggerezza una soavità una eleganza straordinaria che la bocca smentisce solo nella qualità del tannino che risulta più polveroso rispetto al 2005 con una sensazione disidratante, cosa che è comune a molti 2003 che abbiamo assaggiato. Direi proprio che la differenza sostanziale tra i due è nella componente tannica. Olfattivamente il 2005 ancora esprime caratteri giovanili mentre il 2003 è un pò più definito,una maggiore riconoscibilità di alcune componenti in modo particolare quella balsamica, però la bocca risulta meno “sorridente”.
Lupicaia 2005
Il Lupicaia è il vino nel quale il contributo del Cabernet sauvignon è predominante, l’85%, a cui si aggiungono per il 10% Merlot e per il 5% Petit verdot. Siamo comunque in una zona calda. Il colore è anche qui un rubino cupo, impenetrabile con note bluastre al centro bicchiere. Messo a confronto con il Castello 2005 si coglie che questo vira su note più dolci, più piacevoli per certi versi più immediate. Nel Lupicaia 2005 la ricchezza di materia rallenta il processo di maturazione rispetto al Castello, il naso è più severo, più rigoroso al primo approccio. Mosaico olfattivo straordinario, l’insieme di una infinità di tasselli odorosi tanta frutta scura,mirtillo more di gelso,ginepro. Note scure che vanno dal rabarbaro alla carruba. Meno urlata la componente balsamica.
Alla gustativa c’è un attacco perentorio, il vino si allarga subito nel cavo orale. L’idea di polpa. Grande sinergia di componenti in relazione fantastica, il tannino è levigato. Un vino che ha avuto un dialogo col legno di 16 mesi in barrique di primo passaggio. Il legno è dosato perfettamente non c’è interferenza con il frutto. Si avverte una leggera speziatura del legno ma il tannino, non disturba affatto non ci sono eccessi di tostature di affumicato. Si avverte una grande fusione delle componenti e poi tanto volume e tanta profondità. Un vino grande.
Lupicaia 2003
Il colore è di bella luminosità che vira già su toni granato.Le annate calde rendono più disponibili i vini nell’immediato, ma poi in termini di evoluzione sono meno longevi. I profumi del 2003 sono un po più scuri, note di grafite, di pietra focaia. Emerge la mineralità. La componente fruttata è un pò più sottaciuta, anche i sentori balsamici sono meno evidenti. Ci sono note scure di rabarbaro di china, altre note quasi ematiche, ferrose, di carne fresca. Alla gustativa c’è una diversa qualità del tannino che asciuga la bocca. Rispetto al 2005 propone una diversa griglia di lettura, lo stacco è più verticale, il tannino non ha lo stesso guizzo, la stessa grinta del 2005. L’elemento comune di tutti i vini finora degustati è quello di essere vini di grande materia di grande concentrazione estrattiva di grande profondità ma in un quadro nel quale è l’eleganza è la cornice che racchiude tutta la loro personalità organolettica.
Lupicaia 2001
Un colore ancora giovanile al centro bicchiere, ma di bella profondità con dei lampi granato sull’unghia. I profumi sono un archetipo del concetto di eleganza e di complessità,conquistano subito l’universo sensoriale di chi accosta il naso al bicchiere. Il vino è in una fase in cui si alternano note di frutta fresca a note di ciliegie sotto spirito di confettura e lo stesso dicasi per la componente floreale,con petali freschi tipo bouquet e fiori secchi, oltre alla componente speziata. Nel bicchiere c’è una specie di convivenza molto pacifica e bella fra note legate a una evoluzione che il vino comincia ad avere, ma sono ancora in nuce, e note legate a una fase giovanile. I profumi virano su note dolci, di pasticceria da forno, di crostata di visciole, di biscotto, di frutta rossa, mirtillo, marasca, legno di cedro,c’è un tabacco biondo non scuro, note speziate di pepe e cardamomo. Ad ogni nuova olfazione il vino propone nuovi sentori pertanto il concetto di complessità è ben espresso. Un po’ più severo del naso alla gustativa. Ha una bella sapidità, una bella mineralità e l’acidità gioca un ruolo fondamentale perché induce a una moderata salivazione. Il tannino è ancora vibrante, vivo. Questo vino regala un’ idea di armonia e di equilibrio nella bocca.
Lupicaia 1999
I toni granato si espandono nel bicchiere conquistando spazio ma il centro è ancora rubino. Il naso è fantastico, inebriante, “di grande sensualità”, che conquista totalmente. Ampio, molto espressivo, ancora con ricordi di frutta fresca. E’ la testimonianza che il Lupicaia è un vino che nella bottiglia dà il meglio di se dopo molti anni. Le note terziarie sono appena accennate c’è una nota di liquirizia, di laccio di liquirizia, non ci sono note di humus, un po’ di nota iodata. Un naso di grande eleganza. Alla gustativa grandissima corrispondenza con il naso, si sente ancora il tannino vibrante, levigato, ancora molto molto vivace. Dopo la deglutizione non c’è solo un ritorno delle cose che abbiamo avvertito ma anche un corredo aromatico speziato importante. Questo è un vino che entra con grande discrezione nella bocca ma che poi la conquista appieno.
Lupicaia 1997
Uno stacco cromatico non eccessivo tra 1997 e 1999. Il 1997 è un vino che esprime soavità. Un vino con una componente balsamica importante: c’è una foglia di menta in infusione, c’è eucaliptolo. Poi fiori secchi, spezie, una marasca sotto spirito, una frutta in confettura. Cominciano ad avvertirsi anche delle note terziarie di cuoio e sentori di pietra focaia. C’è un tocco aromatico compatto molto bello e un accenno di terra bagnata, di humus, di sottobosco, di foglie ma anche di tanta frutta scura. Un vino decisamente articolato.Gustativamente è difficile trovare un 1997 così. La qualità del tannino è molto alta nonostante l’annata calda, c’è una trama molto fitta. Un tannino che è ancora lontano da un processo di polimerizzazione e che costituisce il fondamento organolettico. Il finale è interminabile e ripropone in modo didascalico una serie di sensazioni enologiche. E’ un vino che non accenna a sedersi ma che corre. E’ impressionante, è straordinario.