Christian quando sei entrato nel Gruppo?
Sono entrato nel Gruppo nel 2001 e seguivo in particolare la parte veronese. Nel 2004 prende il via un progetto molto ambizioso in Toscana, riportare la produzione a livelli qualitativi di eccellenza in linea con le aspettative del mercato. La nostra azienda, che già percorreva la strada della qualità, ha inteso evolvere in questa direzione ancora di più, pur nel rispetto degli impianti esistenti e, soprattutto, dello stile aziendale.
Come hai orientato la tua azione?
Per prima cosa abbiamo effettuato una grossa analisi di quelle che erano le problematiche toscane attraverso anche uno studio approfondito dei vini delle cantine concorrenti, nonché una valutazione severa di quelli della nostra azienda per individuarne le criticità e le piccole imperfezioni. Abbiamo rivisto il sistema qualità e poi siamo partiti, con una diversa consapevolezza grazie a queste analisi, con gli investimenti in cantina.
Quali sono stati i punti maggiormente innovati
Le sale di vinificazione e tutta la parte dell’ingresso dell’uva in cantina. Abbiamo cercato di dividere le uve particella per particella. Tutto il percorso è stato ripensato nel rispetto della materia prima; siamo arrivati a vinificare senza usare nulla ottenendo dei bei risultati. Questo secondo me è un bel segno, è importante che un gruppo che fa 80 milioni di bottiglie abbia questa attenzione.
Un investimento importante in cantina, e in vigna?
In vigna l’azienda era già ben impostata. Di questo sicuramente bisogna dare atto al mio predecessore, che ha lavorato moltissimo in campo viticolo, infatti non c’erano fallanze, non c’erano problematiche di mal dell’esca, né flavescenze, avevamo i nostri vigneti tutti perfettamente meccanizzabili, vigneti con cinquemila ceppi per ettaro, con i cloni giusti. Solo andava un pò perfezionato il processo, e quindi rivista la parte della potatura e della gestione verde con i nuovi concetti, applicate tutte le nuove strategie per la determinazione dell’epoca di maturazione.
Quanto è servita la tua esperienza pregressa in questa nuova avventura
Dopo le esperienze in Cile e in Nuova Zelanda, dove ho percorso negli anni tutte le sfumature più tecnologiche, biotecnologiche, un pò più avanzate, ho cercato di rivedere le cose in un contesto più naturale. Questa mia ritrovata sensibilità si sposava benissimo con il nuovo ambiente di lavoro in Toscana, con una grande materia prima e per di più totalmente sotto controllo.
Hai cercato di mantenere anche il filo conduttore aziendale …
Soprattutto quando andiamo a toccare vini importanti come La Selvanella! In degustazione è bello trovare un filo conduttore che racconti la vigna che racconti il territorio e non sia guidato da altro
A mio parere è nella variabilità dell’annata che si annida il fascino vero di una verticale.
E’ fondamentale, Purtroppo in Italia non c’è ancora la cultura dell’annata. Io su questo mi batto da sempre. Ho portato tutta la nostra forza commerciale a Bordeaux per far capire l’importanza dell’annata, dove anche il prezzo deve essere in funzione dell’annata. Invece succede che ci si muove con altre logiche.
Non è soltanto una questione commerciale, ma anche di sensibilità gustativa, la capacità di capire la differenza tra un’annata e l’altra, pur riconoscendo uno stile, una mano, credo sia il momento più bello nella degustazione di un vino.
Certo che sì, perchè quando si assaggia quel vino si può riconoscere l’annata fredda, l’annata calda. Chiaramente se si interviene in cantina con pratiche, peraltro legittime, come acidificazione, o altro, si va a snaturare quel fascino.
Continuo a pensare che su una vigna ben impostata, ben lavorata, la variabilità del clima agisca meno, la pianta riesca a ben compensare …
Questo era quello che avevo lanciato anche io come slogan. Tutti i grand cru, tutti i vigneti posizionati nel territorio giusto, con i cloni giusti, coltivati bene, risentono molto meno della variabile annata. E’ proprio quella la differenza fra un vigneto normale e un grand cru.
Parliamo della scelta aziendale di dedicare attenzione ed energie a una linea di qualità alta, in un ambito di qualità media.
Io credo che la qualità non abbia compromessi. Quando sono partito ho cercato in tutto e per tutto di dare il massimo, e quando ci si muove così si riesce poi a trainare anche tutto il resto. Nella produzione di fascia alta dovevamo dare molto, stare lì a coccolare le uve, a fare le separazioni così come dovevano essere fatte, non ci dovevamo far mancare assolutamente niente. Cosa è accaduto? che questa nuova cultura si è estesa su tutta la produzione. Lo si è ottenuto ponendo la massima attenzione anche ai vini di seconda fascia, ottimizzando ovviamente i costi attraverso una semplificazione delle operazioni. Per esempio all’inizio tutte le volte che si travasava un vino di fascia alta si faceva una sanificazione dei vasi. Dopo tre mesi ho esteso questa pratica a tutti vini in produzione. C’è un maggior costo, ma c’è anche un grande ritorno.
Sta aumentando la capacità del consumatore di cogliere anche le sfumature del vino e le cose che fai quando vengono percepite danno vantaggio a chi produce e a chi consuma
Il consumatore è sempre più preparato, devo dire che delle volte, ad essere sincero, non è solo più preparato di qualche opinion leader, ma anche di qualche buyer che improvvisa la sua capacità di interpretare i gusti dei consumatori.
Con la infinita tipologia di vitigni in produzione che abbiamo credo che sia sempre più importante diffondere la conoscenza dei nostri prodotti
E’ proprio così. Bisogna andare a raccontare il vino soprattutto noi che abbiamo una miriade di qualità autoctone.
Non è facile
Già. Non è facile andare a raccontarli tutti, perchè hanno delle sfumature diverse, delle complessità che vanno interpretate perché siano apprezzati. E’ un contesto che comunque va depurato. Secondo me in passato sono state fatte tante selezioni clonali con degli obiettivi diversi da quelli che potremmo avere oggi. Per esempio, l’alta produttività, l’alta percentuale zuccherina che interessava prima e che non interessa adesso, mentre oggi si ricerca un profilo aromatico più interessante, un colore più interessante. Quindi caratteristiche affatto diverse.
Un’altra ricerca è quella delle identità territoriali che sono molto importanti. Abbiamo un patrimonio ampelografico incredibile, un territorio particolarmente vocato, dovremmo sfruttarlo appieno.
Io sono un sostenitore di questo. Quando sono tornato dal Cile e dalla Nuova Zelanda mi sono convinto che dobbiamo ancorarci ai nostri autoctoni, farli bene, lavorarli bene, renderli interessanti e differenziarli rispetto ai cosiddetti internazionali, non cercare di “scimmiottarli”.
Parlami delle linee di produzione della Fattoria Melini
Ne abbiamo parecchie, anche se è un’azienda che di fatto ruota intorno al Chianti, nelle sue versioni di Classico riserva, di Chianti Classico, e di Chianti. La parte del Chianti Classico riserva e Chianti Classico viene prodotta esclusivamente in azienda, mentre per quella del Chianti ci si avvale di aziende che sono affiliate da anni. Però sostanzialmente l’attenzione dell’azienda è molto focalizzata sul Chianti classico riserva La Selvanella come vino più importante, poi abbiamo ancora un grande Chianti classico, Solatio del Tan, con la sua riserva, Vigna Fontalle, della linea del Machiavelli. Questi sono i nostri prodotti di punta.
… e oltre il Chianti
C’è un Vinsanto, Occhio di Pernice, fatto nel cuore del Chianti classico. L’annata 1995 l’ho fatta uscire l’anno scorso. Poi due IGT: l’uno vuole essere un vino facile, di pronta beva, dove il Cabernet si sposa con il Sangiovese e, l’altro, un pò più impegnativo e innovativo, dove troviamo un ottimo Sangiovese unito a una piccola parte di Pinot Nero e di Merlot.
Fattorie Melini
Loc. Gaggiano – Poggibonsi (Siena)
Tel. 0577 998511
www.cantinemelini.it
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