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Guido Folonari

 

Un incontro con un giovane del mondo del vino, Guido Folonari. Un fiume in piena di idee, di entusiasmo, di capacità di fare, di ottimismo, di amore per il vino, per la grande qualità del vino, questo è Guido. Ascoltarlo è un piacere, le parole si susseguono rapide, il racconto di Guido affascina perché via via traspare la solidità di un progetto ben pensato e fortemente perseguito. Nulla è lasciato al caso nella sua avventura nel mondo del vino, Guido sa quello che vuole raggiungere e si può essere certi che raggiungerà il suo obiettivo. Qual è lo scopriremo nel corso di questa intervista piacevolissima nei toni e nei contenuti.

 

Guido, la tua filosofia è di bere bene e far bere bene.

 

E’ così, come sai siamo tutti diventati dei tecnici e degli enologi e poi nessuno dice ho piacere a bere una cosa oppure no. Perché poi alla fine bere è e deve essere una soddisfazione e un piacere.
La bevibilità di un prodotto è importante, io sostengo sempre che un vino debba essere elegante, fine e bevibile così non dobbiamo fare il vino in funzione solo e soltanto per l’aspetto tecnico-produttivo.

 

Mi sembra che questo sia un fenomeno piuttosto diffuso, dimenticando a volte la tipicità del vino e l’emozione che sa dare un vino che esprime un territorio.

 

Quando vado ai convegni fra produttori parliamo sempre di noi stessi senza tener conto invece della figura finale che va al ristorante e prende una bottiglia e la stappa e prova delle emozioni come giustamente dicevi te gli ispira un territorio, pensa a un momento piacevole, pensa a un abbinamento tra un territorio e la storia di quel territorio.

 

Come nasce il tuo amore per il vino.

 

Io sono vissuto nel mondo del vino da quando sono nato. Ho visto imprenditori lavorare nel mondo del vino. Ho assorbito fin dalla giovane età quello che era produrre vino. Però io da ragazzino ero già abbastanza eclettico e ho avevo deciso di non voler fare vino. Per cui quando ho finito il liceo mi sono iscritto a legge perché volevo fare l’avvocato. In questo mio padre è stato molto giusto, e io cercherò di esserlo altrettanto con i miei figli, non mi ha mai forzato a dover fare quello che faceva lui, mi ha lasciato sempre libero, l’importante che facessi bene quello che avevo scelto di fare. L’amore per la campagna, per la terra, per il vino mi ha catturato più in là nel tempo e ho intrapreso questo mestiere perché avevo da solo maturato la scelta senza una forzatura da parte dei genitori, da parte dei nonni.

 

E’ stata quindi una tua scelta consapevole.

 

Sì, è stata una mia scelta. Dopo aver studiato per fare l’avvocato, mi sono reso conto che l’avvocato non mi piaceva farlo. E sono andato 4 anni a New York dal 1992 al 1995 per lavorare in una società di consulenza. Poi ho capito quale fosse la mia strada. Ne ho parlato con mio padre, gli ho detto di mi si era acceso dentro il fuoco dell’imprenditore e non del lavoratore dipendente. Sai quando sei cresciuto in una famiglia di imprenditori allora il lavoro dipendente ti sta stretto perché ti rendi conto che non puoi esprimere quelle che sono la tua creatività, la tua voglia di fare, che ti svegli la notte con le tue idee e che non le puoi mettere in atto.

 

E quindi sei entrato nell’azienda di famiglia.

 

Nel 1995 da bravo giovane di famiglia numerosa sono andato a lavorare presso le cantine di Pontassieve per curare l’aspetto produttivo. Lì ho lavorato dal 1995 al 2000 dove in cinque anni ho cercato di mettere in pratica le mie idee, nel senso che da comparsa e da presenza sterile all’inizio perché giovane e figlio del titolare in azienda, sono riuscito a rivoluzionare un po’ tutto e all’interno della famiglia ho fatto la mia carriera mettendo ogni giorno qualcosa di nuovo. Nel 2000 poi ci siamo divisi tutti e io mi sono trovato ad aver investito gran parte degli anni della mia prima maturità, che poi gli anni che vanno dai 27 ai 32 che sono proprio quelli in cui hai energie da buttar via, in un settore che lentamente mi aveva fatto innamorare come quello del vino.

 

A questo punto hai dovuto fare un’altra scelta, quella di proseguire la strada da solo.

 

Sì, mi sono detto ho 32 anni ormai sono grande abbastanza per poter fare l’imprenditore da solo e così sono partito nel creare il mio gruppo con le idee ben chiare, nel senso che volevo creare tanti chateaux. Io partivo da un presupposto che non c‘era più spazio per creare una casa vinicola, come Antinori, Frescobaldi, Ruffino,  perché oggi si va nella direzione delle peculiarità, delle particolarità, della esaltazione tra vitigno e territorio, tra azienda e il territorio, tra prodotti che comunicano la storia del territorio, la cucina del territorio. Pertanto con questa mia convinzione ho cominciato a dedicarmi alla ricerca di quelle zone che mi consentissero di soddisfare la mia idea di fare innanzitutto i grandi rossi italiani. Il mio progetto ora è a metà strada, sto pensando ai bianchi, sto pensando alle bollicine. L’idea è quella di fare un grappolo di aziende nelle migliori zone vocate d’Italia.

 

Guido, raccontami la prima parte del progetto.

 

Ho cominciato a girare. Nei primi due anni ho percorso l’Italia in lungo e in largo perché io non potevo certo acquistare aziende già affermate. Pertanto dovevo cercare delle proprietà che avessero a mio avviso delle potenzialità enormi e che fossero inespresse, per carenze gestionali, per incapacità della proprietà, per liti familiari,  perché lì io potevo dare un valore aggiunto attraverso la visione di qualcosa che chi possedeva l’azienda in quel momento non vedesse.

 

Da dove hai cominciato e perchè.

 

Ho cominciato dalla Langa, perché la Langa l’ho sempre vista come il massimo della viticoltura e della enologia italiana, perché secondo me i langaroli sono in assoluto i migliori vignaioli, è la Borgogna dell’Italia.
I contadini piemontesi hanno un rapporto con la vite, per la coltivazione della vite, che secondo me sono gli unici ad avere in Italia, che gli deriva dalla cultura francese dalla cultura della Borgogna.  Mi ha sempre affascinato il Piemonte che è l’unica regione italiana che ha sempre portato avanti e esaltato i propri vitigni autoctoni: il Dolcetto è Dolcetto, la Barbera è la Barbera, il Nebbiolo è il Nebbiolo e l’hanno esaltato in tutte le loro peculiarità. In Piemonte ci sono i cru, ci sono le zone, le sottozone; la zonazione è secolare e deriva dall’esperienza dei maestri viticoli langaroli. Per cui il primo obiettivo è stato quello di acquistare qualcosa in Langa e nel 2001 sono riuscito ad acquistare la tenuta L’Illuminata a La Morra.

 

Che dimensioni ha la tenuta?

 

L’Illuminata è composta da 11 ettari di proprietà, tutti vitati.  Trovare una proprietà in Langa così estesa non è stato facile. Non aveva cantina. Tutti il vigneto era stato reimpiantato nel 1998. Ho acquistato questa tenuta stupenda con 6,5 ettari a Nebbiolo, con una esposizione bellissima a sud ovest, circa 2,5 ettari di Barbera d’Alba e circa 1,9 ettari di Dolcetto d’Alba. E anche dal punto viticolo era costruita perfettamente, perché la maggior parte di produzione l’aveva del vitigno più prestigioso. Nel giro di due anni ho fatto la cantina nuova. A quel punto ho cominciato a cercare dei collaboratori tecnici che potessero trasformare in pratica quelle che erano le mie idee. E questo l’ho trovato in una persona che ormai è cinque anni che lavora con me e mi segue in tutta Italia, Piero Ballario, un enologo, ma anche agronomo, che è una persona eccezionale. Con lui abbiamo cominciato a costruire il progetto de L’Illuminata. Siamo usciti prima con il Dolcetto, poi con la Barbera d’Alba, e poi con il Barolo, prima vendemmia 2001, che ha avuto subito grande successo. E’ frutto di duro lavoro, è frutto di nessun compromesso perché fare qualità e grande qualità costa, costa in termini di sacrifici, costa in termini economici però nel lungo periodo premia
Bisogna essere categorici nel proprio progetto, perché i prodotti parlano per te e alla fine vieni premiato. Questo è il progetto de L’Illuminata, che è arrivata alla sua quarta vendemmia con una grossa soddisfazione.

 

Poi hai continuato la tua ricerca …

 

Sì, dopo di questo sono sceso a Bolgheri, perché Bolgheri mi affascinava per un altro progetto enologico e viticolo. Bolgheri è il posto in Italia dove tutto è concesso: siamo a Bordeaux. E Bolgheri è la Medoc italiana, nel senso che si fa viticoltura di precisione  si fanno impianti a 7000 piante ad ettaro, si fanno impianti per utilizzare le “scavalcanti”, si fanno dei sesti di impianto da mt. 1,80 per 0,80 a pianta, si fa una viticoltura completamente diversa. Siccome a me piace, diverte mettermi alla prova con vari modelli ed essere capace di interpretare ogni singola viticoltura, a Bolgheri ho acquistato una azienda di 60 ettari di proprietà, si chiama Donna Olimpia, deriva il suo nome da una nobildonna appartenente alla famiglia della Gherardesca. Tu sai che lì era tutto un feudo della Gherardesca, e lì tutti i poderi hanno il nome di un nobile proprio scritto sulla casa. Ho preso questa tenuta nel 2002, ne è nato un progetto viticolo che ha visto la prima vendemmia nell’autunno scorso, nel 2005,  i vini usciranno nel 2007 improntati alla viticoltura bordolese e alla enologia bordolese. Per cui abbiamo piantato cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, petite verdot di tutto e di più.

 

Hai fatto un grosso studio sul territorio

 

Sì, abbiamo fatto un attento studio della zonazione dei suoli, perché lì non c’è storia come in Langa. Siamo partiti con lo studio della zonazione con l’Università di Milano, con il prof. Scienza, abbiamo fatto studi pedologici, abbiamo fatto studi di combinazione tra suolo, portainnesto e clone. La selezione clonale con l’Università di Milano e l’analisi pedologica del suolo con l’Università di Torino. Abbiamo diviso l’azienda in celle di 50 metri per 50 metri e in ogni cella abbiamo fatto carotaggi e scavi fino a 4 metri di profondità per fare la lettura dei suoli, per poi andare a fare tutta la progettazione del vigneto in modo tale da consentire la meccanizzazione alla bordolese. Abbiamo impiantato i nuovi vigneti, i primi 15 ettari nel 2003, altri 15 nel 2004 e altri 10 nel 2005. I primi 15 ettari hanno dato la prima vendemmia quest’anno. Abbiamo messo su una cantina provvisoria, però tutta improntata alla massima tecnologia moderna: automazione dei rimontaggi, automazione delle temperature, premacerazioni a freddo per esaltarne gli aromi.  Qui c’è tutta un’altra impostazione, qui c’è l’esaltazione della capacità dell’enologo di fare i blend con vari vitigni. Mi sono portato Piero Ballario, con il quale ci stiamo divertendo un mondo, quest’anno abbiamo fatto circa 700 hl di vino lì, abbiamo fatto 3 o 4 modi di lavorazioni diverse: macerazioni corte, macerazioni lunghe, premacerazioni a freddo, perché una azienda come Donna Olimpia dovrà sviluppare nel proprio portafoglio prodotti vini di altissima qualità.

 

Si chiamerà così il vino?

 

Si chiamerà Donna Olimpia 1898 per ricordare anche l’anno di costruzione del podere. Questo è a grandi linee il progetto di Bolgheri.

 

Raccontami l’ultima acquisizione che completa la prima metà del progetto.

 

Nel 2003 sono voluto tornare a fare viticoltura tradizionale, sempre in Toscana, e ho acquistato San Giorgio a Montalcino, ove andare a lavorare con il Sangiovese in purezza. San Giorgio è una proprietà di 46 ettari di cui 12 a vigneto, 12 ettari a uliveto e il resto è a bosco. Una proprietà stupenda perché è esposta a sud est che guarda il Monte Amiata a Castelnuovo dell’Abate a 400 ml. L’azienda esisteva, ho trovato vigneti che risalgono agli anni Ottanta, Novanta. E’ una azienda che, tra le tre, è quella che ha una capacità viticola maggiore. Abbiamo modernizzato la cantina, abbiamo rinnovato un po’ il legno e mi sono portato Piero a lavorare sul Sangiovese a Montalcino. Abbiamo lavorato e siamo usciti con vini che c’erano già in cantina, quindi abbiamo presentato il Brunello 2000 che ha incontrato subito un successo. La nostra prima vendemmia è stata il 2003. Lì è proprio l’esaltazione del Sangiovese perché ha questa zona calda, perché è ben esposta, però essendo in quota godiamo di buona escursione termica.

 

La vicinanza dell’Amiata, con i suoi venti aiuta a stemperare ancora di più immagino …

 

Sì, ma non solo, è molto esposta al vento che arriva anche dal mare, perché poi siamo a 80 km dal Tirreno e siamo in collina, sotto è tutto aperto perché c’è la Maremma, quindi c’è una influenza climatica e microclimatica molto interessante. E’ veramente un posto magnifico anche dal punto di vista paesaggistico.

 

E con questo hai raggiunto tutto quello che avevi progettato da fare nella prima fase.

 

Ho creato le tre grandi B: Barolo, Bolgheri, Brunello. Però non contento nel 2004 ho creato la gamba distributiva e ho valutato l’opportunità di acquisire una società di distribuzione e ho acquisito Philarmonica. Società che già distribuiva prodotti di importazione di alta gamma con 67 agenti in Italia, 3 capi area, e ho innestato su questa rete vendita i vini delle varie fattorie che venivano in produzione, con risultati molto interessanti. Noi facciamo solo distribuzione tradizionale. Ho costruito personalmente la rete estera. Ho scelto un pugno di paesi importanti dove entrare, vista la ridotta produzione. E questa ad oggi è la mia storia.

 

Ora possiamo parlare del futuro, la seconda parte del progetto.

 

Sì, come hai visto ho fatto i grandi rossi.  A me ora interessano tre cose: il nord-est, le bollicine della Franciacorta, e poi il Sud. E’ qualche mese che sto osservando, il nord est. Perché secondo me i grandi bianchi italiani sono lì.

 

Quali bianchi vorresti produrre?

 

Sauvignon blanc e Chardonnay nel Collio.

 

E quale Sud?

 

Ho girato la Sicilia in lungo e largo. Me ne ero innamorato totalmente perché era una grande terra di grandi vini. Oggi sto valutando anche altre zone del sud come la Puglia o come il Vulture, una zona che mi piace tantissimo.

 

Vuoi provare a sintetizzare in una frase tutto il tuo progetto?

A me piacerebbe fare cose uniche, selezionate, particolari, una intera collana con grandi prodotti, grandi rossi, grandi bianchi, una grande bollicina, un grande vino del Sud. Sempre aziende piccole, per fare delle chicche che trasmettano la mia personalità, la mia voglia di fare, la mia capacità di cercare la perfezione, che è difficile da raggiungere, ma verso la quale bisognerebbe sempre tendere nelle cose che si fanno.

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