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Gianluca Bisol

 

Il sorriso gli illumina il viso, quando inizia a parlare della storia della sua azienda, che è un po’ la storia della sua  famiglia. Gianluca Bisol lascia scorre le parole come  le acque di un ruscello, alternando delle pause di riflessione, quasi a scavare nella memoria un passaggio, un aneddoto, un particolare che illumini il dialogo, a delle improvvise accelerazioni in cui l’entusiasmo e la passione prendono il sopravvento. Nella intervista ritroveremo spesso questi due momenti, ma non sarà solo questo che ci catturerà l’attenzione, ma anche il contenuto di questa storia, che Gianluca ha saputo rendere ancora più interessante.

 

 

Gianluca, raccontami di questa tua bella azienda perché credo racchiuda in sé la storia del vino e del territorio.

 

In un documento che abbiamo trovato, c’è traccia di un censimento del 1542 voluto dalla Repubblica Veneta sulle attività economiche del territorio. La nostra famiglia era censita come lavoratori di 40 campi, ossia 20 ettari di Chartice, che è il nome originale del Cartizze. Questo è un documento per noi importantissimo perché testimoniare di essere viticoltori dal 1542 non è cosa da poco.

 

Il tuo cognome mi dicevi non è proprio della zona?

 

Questo cognome sembra fosse di origine francese. Anzi ti dico una curiosissima che è emersa, anche se andrebbe approfondita adeguatamente: tra i primi Cavalieri Templari sembra ci fosse un tal Jeffrey Bisol della Normandia. I Cavalieri Templari sono passati in questa zona e, come dire? Mi piace pensare di avere origini così affascinanti.

 

La famiglia ha sempre fatto solo attività viticola fino ad un secolo fa.

 

Sì, esatto. Poi dal 1875, si ha una testimonianza di un primo commercio di vino in botti con le province limitrofe di Belluno, di Padova, di Treviso, qualcosa anche verso Vicenza,  ad opera del mio bisnonno Eliseo Bisol.  L’azienda comincia così ad avere un suo aspetto commerciale per la prima volta documentabile. Il bisnonno Eliseo aveva addirittura fondato due piccole distillerie, una in provincia di Treviso ed una in provincia di Belluno in ossequio alla norma che non dava la possibilità, a quel tempo, di averne più di una per provincia.

 

Poi ci fu la lunga pausa della prima guerra mondiale.

 

La guerra ha segnato duramente questo territorio di Valdobbiadene, di conseguenza in quegli anni la famiglia ha dovuto spostarsi proprio per evitare di essere colpita. L’attività ha ripreso con mio nonno Desiderio e lui ha avuto l’intuizione di comperare diversi poderi per piantare nuovi vigneti, negli anni in cui la gente pensava ad altro ed addirittura a comperare poderi in posizioni molto vocate.

 

I nuovi terreni sono stati acquisiti sempre intorno all’azienda originaria oppure in zone più distanti?

 

No, abbiamo mantenuto tutto nell’arco di 10 km da Valdobbiadene.  Mio nonno ha preso vigneti che le altre famiglie non coltivavano più perché erano i più ripidi e difficili da lavorare. In quei tempi il vino non veniva visto come un prodotto di nicchia, quindi in generale le famiglie cercavano di avere i vigneti in posizioni più dolci, comode che non abbisognassero di una grossa manodopera.

 

Così nasce l’attuale azienda.

 

E’ stato il primo passo fondamentale, la base dell’azienda di oggi. Un’altra sua felice intuizione è stata quella di indirizzare i figli verso una formazione adeguata ai vari ambiti dell’azienda.
Questo ha comportato una perfetta suddivisione dei compiti tra i vari componenti la famiglia.
Negli anni del secondo dopoguerra è cresciuta ulteriormente anche ad opera dei figli Antonio, Eliseo, Aurelio e Claudio. Hanno comperato nuovi poderi, fatto nuovi vigneti, una scelta che si vieppiù rafforzata negli anni successivi. La nostra è stata sempre un’azienda mirata alla vigna, cosa molto insolita ed originale in questo territorio. Un territorio nel quale il grande boom del Prosecco, degli anni dal settanta al novanta, ha indotto molti viticoltori ad abbandonare l’aspetto viticolo per specializzarsi, con investimenti importanti, nella trasformazione e nella spumantizzazione.

 

Avete adottato una politica affatto diversa nel territorio

 

La mia famiglia si è sempre distinta per avere un occhio sempre mirato alla viticoltura. Piuttosto che far crescere l’azienda come trasformazione, abbiamo preferito farla crescere come estensione di vigneto. Da 10 ettari, un po’ alla volta, siamo passati a 15-20-30, fino ad arrivare oggi a 60 ettari, e ad avere in programma per i prossimi cinque anni altri 30 ettari di vigneti da piantare.

 

Nuove acquisizioni?

 

Si, abbiamo comperato quest’anno altri tre poderi sempre in alta collina e li abbiamo sistemati e piantati.

 

Di fatto state completando il giro intorno all’azienda con tutti questi vigneti?

 

Esatto, per portare l’azienda ad avere una completa identità.

 

La tua azienda è partita subito con il solo Prosecco oppure anche con vitigni internazionali?

 

Noi originariamente producevano solo Prosecco, poi per realizzare un progetto, che abbiamo attuato, di fare spumante metodo classico, abbiamo piantato Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero, 4 ettari in tutto,  per fare le nostre 25.000 bottiglie con questo metodo.

 

Una scelta importante questa del metodo classico

 

Per noi è stato determinante, da un punto di vista formativo, perché fare metodo classico ti porta ad una filosofia di produzione che è volta all’ottenimento di uno spumante corposo, che abbia la sua durata nel tempo e  la possibilità di avere una sua dignità internazionale

 

Parlavi di formazione, come se da questa scelta ne fosse derivato un nuovo approccio anche al resto della produzione

 

Sì questo ci ha consentito di vedere il prodotto a quattro anni dalla vendemmia. Ci ha indotto a ipotizzare il Prosecco come un vitigno da valorizzare proprio in questa ottica. Di tentare un prodotto che trovasse nel tempo una sua evoluzione, una sua espressione ottimale e che non fosse, come è interpretato oggi,  un prodotto esile da consumare al massimo entro un anno o due dalla vendemmia. È stato lo stimolo per offrire al Prosecco la possibilità di durare anche 4-5 anni e assumere una sua dignità nel mondo dei grandi spumanti.

 

Quindi hai avviato e accompagnato un processo di crescita di questo prodotto per portarlo nelle tavole con la stessa dignità del metodo classico, per far abbandonare l’idea corrente del Prosecco come di uno spumantino.

 

Esatto. Partendo da un presupposto, che tutti possono capire, il Prosecco è un vitigno e come tale, ha una stretta parentela con qualsiasi altro vitigno internazionale. Se c’è un’ottima impostazione viticola, un’attenzione qualitativa già sul vigneto, può dare delle espressioni che non hanno nulla da temere in confronto a qualsiasi altro vitigno internazionale.

 

Cercare di fare esprimere al Prosecco le sue massime potenzialità.

 

Sì, ecco il perché di questa nostra attenzione all’aspetto viticolo; operazione non così facile da attuare. Avere un vigneto da noi significa investire molto nei terreni e in manodopera perché sono tutte colline molto ripide, in cui è impossibile meccanizzare. Per cui è una scelta molto, molto difficile quella che abbiamo fatto, però è quella che ci può consentire di raggiungere il nostro obiettivo, creare un Prosecco di alto livello, che possa essere messo a confronto con le grandi bollicine nel mondo.

 

Voi avete suddiviso la produzione secondo due linee principali.

 

Esatto il Bisol e il Jeio. Sono le due anime dell’azienda. Il Bisol racchiude i cru, sei prodotti con le varie espressioni dei differenti terreni che ci sono nella nostra zona. Perché la nostra zona è fatta di 4.500 ettari, come totale della Doc. In questi 4.500 ettari ci sono varie espressioni geologiche, si va dall’arenaria marina, quindi  terreno sabbioso in superficie e roccioso sotto, che è più vicino alla montagna. Poi il terreno di origine morenica, che è quello che sta un po’ più a sud, nelle colline di fronte alla montagna, e sono colline dove i sassi sono un po’ arrotondati, prodotti proprio dal disgelo e quindi da questi fiumi che hanno creato poi queste colline. Questo da al prosecco maggior sottilità. Poi ci sono i terreni argillosi, che caratterizzano le zone mediane. Ci sono ovviamente poi terreni misti, fra queste varie componenti.

 

Ognuno rilascia situazioni aromatiche diverse

 

Sì, questa differenza geologica, all’interno dei 4.500 ettari, permette di fare una valorizzazione dei singoli cru. Questa è l’anima principale dell’azienda e su questa produzione abbiamo 596.000 bottiglie fatte lo scorso anno.

 


Un lavoro più lungo e particolare. I cru sarebbero i nomi dei vari poderi?

 

Sì, tranne il  Garnei che è un cru “diffuso”. E’ fra i cru, anche impropriamente, ma esprime un concetto un po’ più ampio, può essere inteso come la selezione delle migliori uve dei migliori cru. Quindi abbiamo scelto nei migliori vigneti,  le piante con i grappoli migliori, i capi maestri. Una sorta di selezione sulla selezione. Questo Garnei, che forse avrai capito che è il mio preferito, è particolare ed interessante proprio perché  enfatizza questo desiderio nostro di voler dare una vita lunga al Prosecco. Una vita lunga, dal punto di vista del consumo perché esce in vendita solo un anno e mezzo dopo la vendemmia. Proprio come provocazione l’abbiamo fatto dieci anni fa, dicendo “dite tutti che il prosecco va bevuto entro un anno e mezzo dalla vendemmia e così noi usciamo un anno e mezzo dopo la vendemmia”.

 

Parliamo un po’ della cantina. Voi seguite ovviamente l’intero processo. Raccontami cosa accade.

 

Questo grande lavoro che c’è nel vigneto, merita un’attenzione particolare in vendemmia: Facciamo  una vendemmia differenziata, a seconda della maturazione. Sullo stesso vigneto facciamo anche tre passaggi nell’arco di venti giorni per cogliere l’uva al punto perfetto di maturazione. Vendemmiamo tutto in cassetta, altra particolarità della nostra azienda e di poche altre. In situazione di pendenza, come le nostre, vendemmiare in cassetta è un qualcosa effettivamente pesante. Tutte cassette da 18 kg. L’uva viene adagiata in queste cassette in modo da arrivare sana e perfettamente integra in cantina.

 

Cosa accade in cantina?

 

In cantina facciamo una prima separazione del raspo dall’acino. L’acino viene rotto, in modo che si pulisca qualche goccia di mosto e viene portato in un recipiente dopo essere stato raffreddato. Dalla temperatura di vendemmia, che di solito va dai 15° ai 20°, viene portato ad 8° di temperatura. L’uva viene lasciata senza il raspo in questo contenitore, che si chiama criomaceratore dove rimane per tutta la notte, per 14 ore.

 

Questa prima fase fissa la componente aromatica

 

Sì, estrae molti terpeni dalla buccia, che caratterizzano poi l’aromaticità del Prosecco. Il giorno dopo viene passato nelle presse pneumatiche soffici.
Abbiamo delle pressature diverse anche per fare dei confronti e poi perché voglio dare pressature diverse alle singole partite d’uve in modo di estrarre dall’acino diverse tipologie di mosto. Sostanzialmente in un acino ci sono tre tipi di mosto: quello vicino alla buccia, quello mediano e quello al centro. All’inizio la prima pressatura sarà molto soffice per fare il mosto mediano. Poi viene quello al centro ed alla fine quello vicino alla buccia. Stiamo parlando di pressature soffici in tutti e tre i casi. Poi c’è l’ultima pressatura che è quella finale che non usiamo e viene ceduta. In questo modo tiriamo fuori dall’acino i vari mosti che hanno sensazioni diverse per poi rimetterli insieme di nuovo nel taglio che faremo. I mosti poi prendono quattro strade diverse. Vengono suddivisi, venendo magari dallo stesso cru, e avviati a quattro fermentazioni diverse. La prima è una fermentazione classica a 18° di temperatura con travaso settimanale, per circa un mese così che si fa la trasformazione completa degli zuccheri presenti nell’uva. La seconda tipologia di fermentazione, in alternativa alla prima, è la fermentazione con batonage continuo all’interno dei recipienti di acciaio, quindi movimento continuo del lievito fino a che non sia necessario il travaso settimanale. Questo naturalmente moltiplica la presenza di lieviti all’interno del mosto in fermentazione e questi lieviti in continuo movimento danno volume al Prosecco. Perde un po’ di aromi perché i lieviti hanno una funzione assorbente sugli aromi, però acquisisce volume. Una piccola percentuale fatta in questo modo è utile per l’assemblaggio successivo. Una terza tipologia di fermentazione che facciamo è molto interessante perché ripropone le condizioni di vinificazione di 50-60 anni fa, quando la vendemmia era sostanzialmente di 20, 25, e anche 30 giorni, più tardi di quella che è attualmente, per motivi di cambiamento climatico.

 

Come avveniva?

 

L’uva veniva lasciata con il mosto per due o tre giorni. Era molto freddo perché eravamo già ai primi di novembre, quindi per una sorta di criomacerazione naturale in tini di legno. La fermentazione avveniva, con le condizioni climatiche tipiche dell’epoca, a temperatura molto bassa, intorno ai 10°, a volte meno. Il travaso veniva fatto ogni tre giorni, anziché ogni settimana. Per cui questa non era una fermentazione tumultuosa, ma molto lenta. Era rallentata dalla temperatura da una parte e dal travaso ogni tre giorni dall’altra. Facendo il travaso ogni tre giorni si toglievano i lieviti. Questa perdita di lieviti determinava il fatto che gli zuccheri dell’uva non venivano completamente espressi in alcool, durante questa prima fermentazione e dalla primavera successiva il Prosecco aveva ancora una buona quantità di zuccheri naturali d’uva da esprimere. Con le temperature miti ripartiva la fermentazione. Da lì poi è nata la storia del Prosecco spumante.

 

Questo residuo zuccherino si è rivelato prezioso.

 

Il grande effetto degli zuccheri era quello di agganciare le sostanze aromatiche e trascinarle da un anno all’altro. La fermentazione così rallentata con zuccheri residui portava ad avere Prosecchi più profumati negli anni ’40-50. Allora noi a cosa abbiamo pensato di riprodurre quelle condizioni affinché potessimo anche noi portare un Prosecco base, prima della spumatizzazione, all’anno successivo con ancora zuccheri residui., studiando le temperature climatiche e di fermentazione dell’epoca. Uno dei quattro metodi di fermentazione che oggi utlizziamo ci consente di arrivare alla fine della prima fermentazione con il vino base freddo con ancora zuccheri residui da svolgere. In questo modo si aggancia gli aromi primari e se li porta alla primavera successiva, basta fare il taglio per la cuvée che poi andrà a diventare spumante.

 

Poi c'è un'ultima tipologia ...

 

Sì. Il quarto tipo di fermentazione, è una fermentazione in barrique, piccola percentuale 4-5% di Prosecco che facciamo fermentare in barrique con batonage continuo. Di conseguenza alla fine abbiamo a disposizione, a gennaio, quattro vini dello stesso cru per fare la cuvée. Questo ci permette di avere un interessante equilibrio, una grande complessità del vino che ne deriva.

 

Questa complessità deriva da tre fattori essenziali:  rese basse per vigneto, attenzione in cantina nel momento della vendemmia, fermentazioni parallele in quattro versioni

 

Esatto, è importantissimo proprio questo impegno sulla vigna che  in cantina trova la giusta espressione, perché poi si lavora tanto in vigneto, ma in cantina non tiri fuori tutte le pieghe che può avere un buon vitigno e sprechi il tuo lavoro in vigna.

 

Questo lo fate per ogni cru?

 

 

Poi c’è il Jeio …

 

Il Jeio è una selezione di tre spumanti, a base di prosecco, fatti secondo il metodo charmat, che possiamo anche chiamare metodo italiano. La linea, che nasce nel 1996, l’abbiamo dedicata a mio nonno Desiderio. Mio nonno veniva chiamato in modo confidenziale in paese Jeio.

 

In questo caso voi fate una selezione di uve?

 

Esatto. A parte i cru, che abbiamo individuato, gli altri poderi che abbiamo li dedichiamo a Jeio. Le uve vengono mescolate con un’idea di cuvée, quindi di taglio di uve di diversi vigneti. Esce dal prodotto del singolo vigneto che viene integrato da uve acquistate.

 

Qual è la differenza fra i tre prodotti?

 

I tre Jeio si differenziano nell’utilizzo nell’uvaggio, del Verdiso e del Pinot bianco. Per esempio nel caso del Jeio Valdobbiadene Brut si ha, oltre al Prosecco, un 3% di Verdiso e 7% di Pinot bianco.

 

Il Verdiso è proprio autoctono.

 

Il Verdiso è un vitigno tradizionale, che abbiamo noi nella zona, ha come caratteristica  un’acidità elevata. oltre che sensazioni abbastanza forti dal punto di vista aromatico.

 

Utilizzate anche altri varietali?

 

Sì, ma sempre in piccole percentuali. Mentre per il Geio Colmei, c’è il 100% di Prosecco, nel  Jeio Cuvée invece abbiamo optato una cuvée di cinque vitigni aromatici.:  al Prosecco uniamo il Sauvignon, l’incrocio Manzoni, lo Chardonnay, il Verdiso.

 

Ci sono interventi particolari in vinificazione?

 

Sì, rimane a contatto con i lieviti, non in bottiglia, ma in un grande recipiente per almeno tre mesi. Per cui prende anche un po’ di lievito, non la lisi che caratterizza il metodo classico, però è uno charmat lungo.

 

Qual è la produzione complessiva?

 

Sì, oltre alle 596.000 bottiglie di Bisol e le 25.000 di metodo classico, abbiamo il Jeio che esprime altre 500.000 bottiglie e quindi si arriva ad 1.100.000.

 


Bisol Desiderio & Figli Azienda Agricola
Fol di Valdobbiadene - Treviso
Tel: 0423 900138
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - www.bisol.it

 

I PRODOTTI

 


SELEZIONE JEIO BISOL

 

Jeio Valdobbiadene Brut
Jeio Colmei
Jeio Cuvée

 

I CRU

 

Cru Crede
Cru Fol
Cru Garnei
Cru Salis
Cru Cartizze
Cru Molera

 

MILLESIMATI TALENTO METODO CLASSICO

Talento Pas Dosé
Talento Riserva
Talento Rosé
Talento Eliseo

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