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Giacomo Ponti

 

Un lungo percorso di una famiglia che in cinque generazioni è riuscita a imporsi nel mercato nazionale e internazionale con un prodotto sostanzialmente povero: l’aceto. Una generazione ha passato all’altra la determinazione e la passione per un lavoro ben fatto, il passaggio di testimone è sempre stato accompagnato da una nuova spinta ad una crescita voluta e cercata sempre in modo attento e armonico. Un passo dopo l’altro con la giusta prudenza quasi a non voler turbare in alcun modo la linea tracciata fin dall’inizio. Giacomo Ponti rappresenta il nuovo futuro dell’azienda e con lui ripercorriamo l’intera storia della famiglia. Un viaggio affascinante nel tempo che Giacomo racconta con giusto orgoglio, consapevole della parte di cammino che ora è affidata a lui.

 

Giacomo la storia della tua azienda merita di essere raccontata.

 

All’inizio, nel 1867, avevamo una attività poco più che artigianale. Il 1867 in realtà è una data convenzionale.  Abbiamo trovato nella parrocchia di Sizzano, che è a sud di Ghemme, dove la mia famiglia è originaria, un documento, l’atto di matrimonio di Giovanni Ponti, mio trisavolo, nel quale era specificata la sua professione. Se continuassi la ricerca forse l’origine potrebbe andare ancora più in là nel tempo. Ma torniamo al 1867. Abbiamo delle testimonianze significative dell’attività svolta da Giovanni, che era soprannominato in dialetto Giuanin d’la sei (Giovannino dell’aceto). Il figlio di Giovanni, il nonno di mio padre e di mio zio, Antonio Biagio ha proseguito il lavoro paterno concentrandosi particolarmente sull’aceto e tralasciando altre attività agricole per le quali non aveva vocazione. Questo ha consentito alla ditta di assumere un carattere più industriale e di essere conosciuta a livello regionale.

 

All’inizio la produzione era di vino e di aceto.

 

L’attività di produzione e di commercializzazione del vino serviva a controbilanciare la forte stagionalità dell’aceto. L’aceto aveva un consumo concentrato nell’estate quando la verdura fresca era disponibile, questo avveniva soprattutto a fine Ottocento proprio perchè la filiera di produzione e di distribuzione agricola era molto diversa da quella di oggi. Tutti consumavano i prodotti dell’orto e questi erano disponibili l’estate non certo l’inverno. Per cui il consumo di aceto nella stagione calda aveva un picco enorme.

 

La vendita come avveniva

 

Era fatta non a bottiglie, ma a damigiane o a botti in presenza di grandi problemi di collegamento e di distribuzione. Il negoziante vendeva sia il vino che l’aceto sfuso.

 

C’era anche una produzione familiare di aceto, che conserva a dire il vero ancora oggi una certa attrattiva, attraverso l’utilizzo della “madre”

 

La tradizione degli aceti fatti in casa. Ci sono delle persone che tengono molto alla loro “madre”. Un fondo di verità c’è, ma sostanzialmente è un errore clamoroso. Il responsabile della trasformazione dell’alcool contenuto nel vino in acido acetico è l’aceto bacter aceti scoperto nel 1815 da Pasteur. Questo batterio presente nell’aria e nel vino è strettamente aerobo e quindi cibandosi di aria trasforma l’alcool in acido acetico. Come tutti gli esseri viventi ha un ciclo vitale, quando muore si aggrega in una massa gelatinosa che si chiama “madre”, ma che va eliminata dall’aceto perchè è una massa morta. A lungo andare causa dei difetti di profumo e di torbidità. Nelle credenza popolare si prendeva questa massa si lavava e si metteva a contatto con il vino perchè avrebbe trasformato il vino in aceto. Lo si considerava alla stregua di un rito magico o qualcosa del genere. In realtà attraverso l’utilizzo della “madre” il processo talvolta riesce ad innestarsi, ma questo è legato alla presenza di qualche batterio imprigionato ancora vivo o alla presenza di un pò di aceto residuo.

 

E invece il processo di acetificazione in azienda?

 

E’ un processo naturalissimo perchè come abbiamo visto prima la fermentazione acetica è una fermentazione naturale dove l’aceto bacter aceti trasforma l’alcool in acido acetico. Per far sì che questo processo si completi nei tempi più stretti noi abbiamo dei particolari apparecchi, dei fermentatori, che sono dei tini di acciaio inox che poggiano su delle gambe per permettere la sistemazione sottostante il tino di un motore elettrico. Questo motore muove una ventola e una controventola appositamente studiate per creare una turbolenza all’interno, l’aria viene forzatamente immessa nella massa di vino e poi aspirata. A seguito di questa turbolenza l’aria si micronizza all’interno del vino e alimenta nella maniera più efficace la flora batterica. I batteri acetici lavorano bene intorno ai 34-35 gradi per cui all’interno di questo tino c’è una serpentina che ha la funzione di mantenere la temperatura ottimale costante. Nel giro di 36 ore circa tutto l’alcool contenuto nella massa di vino viene trasformata in acido acetico. Al termine della fermentazione abbiamo un prodotto abbastanza torbido a causa di batteri in sospensione etc.. Facciamo una prima chiarifica seguita da una filtrazione con un filtro tangenziale con una porosità di circa 0,1 micron. Dopo questo passaggio otteniamo quello che noi chiamiamo aceto finito. Mancano ancora due momenti del processo.  Noi partiamo da una materia prima con 10 gradi di acidità, poi, a seguito delle perdite di trasformazione, alla fine otteniamo una media di 9,80 gradi a livello industriale: si rende necessario pertanto un taglio con dell’acqua. Prima dell’imbottigliamento viene tagliato e viene filtrato. Ci sono altri due filtri: un filtro a 1 micron e un filtro a 0,45 micron che è un filtro sterilizzante. Poi attraverso un piping l’aceto arriva alla riempitrice che è sterile. Il processo termina qui.

 

Torniamo alla storia dell’azienda all’epoca di Antonio Biagio Ponti. 

 

Sì, Antonio Biagio si concentra sempre di più nella produzione dell’aceto e, negli anni 1925-6, viene affiancato da mio nonno Guido che nel frattempo si era diplomato nella regia scuola di enologia a Alba. Un percorso di studi inerente all’attività imprenditoriale familiare che consentirà all’azienda di assumere un carattere più industriale.

 

Comincia il processo di crescita

 

Fra le due guerre l’azienda comincia ad operare a livello sovraregionale. A fine periodo i nostri prodotti erano diffusi in Piemonte in Liguria e in Lombardia. Nel 1939 viene acquisita una piccola azienda di Milano che produceva verdure sottaceto e sottolio. Durante gli eventi bellici la fabbrica di conserve viene trasferita da Milano a Sizzano nei locali del primitivo acetificio, mentre la produzione di aceto viene spostata a Ghemme. Molto più tardi, nel 1986, anche la parte conserve viene spostata a Ghemme abbandonando definitivamente la prima sede di produzione di Sizzano, ormai non più adeguata ai volumi di produzione.

 

Ma la vera espansione si ha con Guido

 

E’ con Guido che nel dopoguerra, con il boom economico, che l’azienda si è estesa dal nord Italia fino quasi a livello nazionale. Il salto da azienda di riferimento del settore ad azienda nazionale si ha durante gli anni tra il 1965-1980.

 

Qual è stato il punto di svolta?

 

Quando si è proceduto ad una politica di acquisizione. L’aceto negli anni 1965 1970 era un prodotto venduto in una bottiglia da un litro a 6 gradi di acidità, un prodotto molto povero, un prodotto con scarsa marginalità, un prodotto per il quale all’epoca non c’era un marchio di riferimento. L’unico modo per crescere, visto che portar via quote ai concorrenti era abbastanza difficile, e per ottenere una struttura che avesse una marginalità adeguata, era la crescita esterna attraverso l’acquisizione dei concorrenti. Nel giro di 15 anni mio papà e mio zio sono riusciti ad acquisire talvolta rami di azienda talvolta l’azienda intera con tutti gli asset industriali di circa una quindicina di concorrenti e questo ha consentito al marchio Ponti di affermarsi a livello nazionale.

 

Superando il gravoso problema della distribuzione

 

Infatti, il problema della distribuzione dell’aceto era molto sensibile a quell’epoca. Ricordiamo che stava cominciando a nascere o a crescere la grande distribuzione; e partire da Ghemme e andare a consegnare a Roma diventava una avventura perchè l’incidenza dei costi di trasporto era elevatissima e un prodotto povero come l’aceto non era in grado di sopportarlo.  La nuova politica aziendale ha permesso di avere tre siti produttivi per l’aceto di vino e tre magazzini uno a nord ovest a Ghemme, uno a nord est a Dossano di Casier e uno al centro ad Anagni. Tre stabilimenti nell’arco di 350-450 km riescono ad assicurare la consegna della merce con il medesimo listino prezzi in tutta Italia, cosa da non sottovalutare tanto che questo è stato certamente uno degli elementi di successo del marchio Ponti.

 

Comincia ad assumere importanza anche la diversificazione dei prodotti

 

Dall’Ottanta a venire agli anni Novanta il mix di produzione è cambiato molto.  Si sono introdotti dei nuovi prodotti come l’aceto di vino Aroma Antico, che un aceto invecchiato Premium, e poi sul finire degli anni Ottanta l’aceto di mele e l’aceto balsamico di Modena. Due grandi prodotti di successo. Fra l’altro l’aceto di Modena ha consentito all’azienda di iniziare esportare i suoi prodotti perchè è un prodotto conosciuto in tutto il mondo come prodotto italiano ed è molto richiesto, mentre esportare l’aceto di vino era decisamente più complicato perchè le quantità i volumi e i margini erano assolutamente diversi.

 

Poi c’è il comparto delle conserve alimentari

 

Quello era un mercato più stretto. Il marchio Ponti nel sottolio e nel sottaceto era diffuso solo nel nord Italia. Il grande successo è arrivato a metà degli anni Ottanta con la linea Peperlizia, che era una linea innovativa perchè la verdura non era più conservata in olio o in aceto, ma in agrodolce. Non solo, venivano utilizzate solo materie prime fresche. Abbiamo lanciato come primo prodotto i peperoni in agrodolce Peperlizia, dopodichè le cipolle borretane, quindi un cocktail di verdure e ancora dei carciofi tagliati. L’adozione dell’agrodolce non consentiva l’estensione ad altre ricette. Per cui il marchio Peperlizia è stato riposizionato come marchio Premium, un’area di gusto per individuare dei prodotti con qualità vegetali particolari o con ricettazioni particolari.  Sono nati altri prodotti di grande successo come il Carcioghiotto, che un carciofo intero lavorato dal fresco in olio di semi di girasole, con una punta di extravergine per dare profumo, con del rosmarino fresco, dell’aglio e del peperoncino: una ricetta mutuata dal Lazio. Sono nate anche una linea di sottaceti e una degli antipasti. Non va dimenticata l’insalata di riso; in quest’ultimo segmento siamo diventati questo anno Leader.

 

Come vi approvvigionate di verdure fresche?

 

Abbiamo dei fornitori abituali che ci seguono. Questa scelta ha comportato un altro grosso investimento dell’azienda, utilizzando materia prima fresca noi dobbiamo stoccare in magazzini per i mesi successivi. Questo è un impegno per la Ponti, ma il consumatore Peperlizia è abituato ad avere un certo tipo di gusto, di profumo e di consistenza. La verdura conservata in salamoia, che è acqua e sale, perde le caratteristiche delle verdure fresche per cui la consistenza della verdura il profumo e il sapore sono completamente diversi.

 

L’ultima generazione ha investito in tecnologia

 

Sì abbiamo investito tantissimo. Dal 1999 a oggi abbiamo fatto un piano di investimento veramente importante che però ha cambiato davvero volto a tutta la struttura industriale, sono state acquistate delle tecnologie molto avanzate sia a livello di produzione che a livello di packaging. Abbiamo raggiunto un livello di efficienza molto elevato e di tecnologia, che vuol dire certo asset industriale, ma supportato anche da information technology, quindi software di gestione della qualità e del magazzino automatizzato, che è stato costruito nel 2002 a Ghemme. Lo stesso metodo lo abbiamo esportato in altri punti e quindi abbiamo in ogni momento conoscenza su cosa sta succedendo all’interno del magazzino. Abbiamo un livello tecnologico riteniamo molto importante per una azienda come la nostra e di questo stiamo raccogliendo i frutti. D’altro canto eravamo a un punto alla fine degli anni Novanta dove o si investiva per crescere sia a livello di qualità e anche a livello di output produttivo o altrimenti l’azienda si sarebbe fermata. Sono stati fatti parecchi investimenti per favorire anche lo sviluppo all’estero. All’estero le aziende sono tutte certificate con il massimo grado con certificazioni internazionali, che vengono rinnovate ogni anno da enti esterni, per cui c’è una grande attenzione a tutto quello che riguarda la qualità e la tracciabilità del prodotto.

 


PONTI SpA

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