Gerardo, tuo nonno ha creduto fortemente in questa terra.
Mio nonno era figlio di agricoltori, aveva lavorato anche in America per racimolare qualche soldo per creare quest’azienda viticola. Ha fatto tanti sacrifici.
Nessuno dei figli l’ha seguito in questa sua passione?
No, nonno aveva quattro figli, ma nessuno è voluto rimanere in agricoltura. Questo comportamento è lo specchio della logica meridionale di tanti anni fa secondo la quale lavorare in agricoltura era perdente. Il pensiero comune era che se non sapevi fare niente facevi l’agricoltore. La connotazione estremamente negativa data a quel lavoro, spingeva la gente che lavorava in campagna a fare di tutto per evitare ai loro figli questo destino. Di fatto dei quattro figli nessuno è rimasto in campagna. Mio padre per esempio è diventato Notaio. Mio nonno, prima di morire, espresse il desiderio che questa vigna finisse a me, il nipote con il suo nome.
Sapevi già di questa idea del nonno?
Sì, e questo è stata una cosa che ha fortemente condizionato la mia vita, il mio modo di pensare. Quando ero piccolo, a circa 6-7 anni, mio nonno mi disse “io la mia vigna la do solo a te e a nessun’altro”. Dopo la morte di nonno, mio padre, che era quello che aveva studiato, era troppo riconoscente nei confronti dei fratelli che lo avevano aiutato a raggiungere la sua posizione per dare corso a quella promessa. Ma quella volontà espressa gravava nell’aria. Mio padre decise allora di acquistare dai fratelli le rispettive quote di quella vigna. Fu il regalo che ricevetti per i miei 18 anni.
Ma io non ho rivolto troppa attenzione a quella vigna. Mi sono iscritto all’agrario e, dopo la laurea, mi sono messo subito a lavorare in tutt’altro settore. Poi quando sono arrivato a 40 anni, ho iniziato a riflettere su quel messaggio del nonno e ho capito che se non avessi fatto nulla sarebbe andato perso definitivamente.
Quindi non è stato un avvicinamento immediato? È stato il frutto di una lenta maturazione.
Io ho dedicato, come agronomo, la mia attenzione a altri settori. Ho insegnato all’università, sono stato all’istituto tecnico per 20 anni, ho fatto la libera attività. Ho fatto di tutto, meno che curare quella vigna. Poi all’età di 40 anni, quando si iniziano a fare un po’ di bilanci, cominciai a pensare che sarebbe stato bello offrire ai miei figli qualcosa di solido per stimolarli a avere un’occupazione in questa zona. Della nostra grande famiglia, sono l’unico che è rimasto qui. Secondo me, la vera scommessa la fa chi rimane nel sud Italia, cerca di fare qualcosa per il proprio territorio. Ed è questa la riflessione che ho fatto con mia moglie, perché certe decisioni non si possono prendere da soli. Il risultato è stato che io, che avevo un bel posto pubblico, di dirigente, ho lasciato tutto per cominciare questa avventura. Dentro di me avevo maturato una certezza, anche se questo può far sorridere, che mio nonno mi avrebbe seguito in questa avventura. Tante cose che sono andate per il verso giusto fin dall’inizio, si possono spiegare certo con l’impegno e con la capacità professionale, ma per me c’é stata anche una magia, la fortuna, o un tocco dall’alto. L’azienda nasce ufficialmente il 5 ottobre ’98 quando ho compiuto 40 anni. Simbolicamente ho incominciato quel giorno la mia seconda vita.
Cosa hai fatto come prima cosa?
Ho cercato di valorizzare i vigneti, quello che oggi sembra ovvio e scontato, otto anni fa, non un secolo fa, parliamo del 1998, sembrava una follia. L’Aglianico era classificato come un vino da taglio, era considerato nel modo più negativo possibile, un vino che aveva qualche cosa di suo, ma doveva servire per tagliare il vino di qualcun altro.
È la storia di tanti vini del sud, dal Montepulciano d’Abruzzo, al Nero d’Avola, al Primitivo
Esattamente tanti destini molto simili, comunque affermo questo non per parlare male dell’Aglianico, ma per sottolineare la storia enologica che ci ha caratterizzato per anni.
Una partenza in salita.
Sì, ma a questo punto ho avuto un incontro che ritengo guidato dall’alto. Io pensavo di fare qualcosa per questo vino, però cercavo anche qualcuno che mi aiutasse in questo percorso di ricerca. Andai così al Vinitaly. Qui incontrai il professor Luigi Moio.
Che ha una grande esperienza in Aglianico
Sì, lui professore napoletano, tenne una lezione al Vinitaly specifica sull’Aglianico. La sua competenza mi affascinò. Alla fine della giornata gli chiesi di venire in azienda. Lui accettò.
Gli feci vedere la piccola vigna di mio nonno, gli altri terreni dove c’era all’epoca un campo di grano che poteva essere utilizzato per le nuove vigne.
Siamo ancora nel ’98?
Sì, parliamo di marzo, aprile ’98. Il prof. Moio mi ha aiutato ad approfondire la ricerca sul vitigno. C’era da recuperare tanti anni di trascuratezza. Io avevo un mio personale convincimento, se un vino è considerato da taglio, è perché va a tagliare qualche altra cosa che evidentemente è carente di qualche elemento. Quindi un vino da taglio può essere un “miglioratore”, non un “peggioratore”. Questo mi suggeriva che il “miglioratore” ha delle caratteristiche distintive che dovevano essere individuate e valorizzate. Da questa considerazione apparentemente banale che facemmo a tavola con il prof. Moio, prese il via il processo di valorizzazione dell’Aglianico che abbiamo sviluppato in seguito.
Che estensione ha ora il tuo vigneto?
27 ettari, acquisiti pian piano. Sai, per complicarmi la vita invece di un vigneto unico in un’unica zona, ho realizzato cinque vigneti in cinque comuni diversi nelle contrade migliori dei comuni di Rionero, Barile, Ripacandida, Ginestra e Maschito. Maschito era un paese molto poco conosciuto, ma dove da sempre l’Aglianico regna. Maschito ha sempre mantenuto i vigneti e non li ha mai espiantati, cosa invece successa in altri comuni come Ripacandida o Rionero.
La scelta è avvenuta per una questione di terreno, di esposizione?
Questi 5 comuni e queste contrade sono stati scelti in maniera particolare. Sono contrade che hanno una matrice di suolo completamente diversa ed anche esposizioni diverse. A Ginestra, Ripacandida, Rionero e Barile abbiamo un sottosuolo di tufo vulcanico ricoperto da tre diversi substrati, il sabbioso, o il pozzolanico o l’argilloso. In quello di Maschito c’è sempre il tufo in profondità però è di tipo arenario.
Il tufo è l’elemento comune?
Sì, il tufo è fondamentale perché rappresenta un po’ la spugna che assorbe acqua durante il periodo invernale. Noi diciamo in gergo che “il tufo allatta la pianta”.
Questa spugnosità assicura alla pianta il superamento di situazioni di stress idrico.
Sicuramente consente alla pianta di superare lo stress idrico e quindi avere una crescita più possibile regolare in un clima come il nostro che è molto particolare, l’estate è molto calda con punte che superano i 45°C e d’inverno c’è tanta neve e non piove affatto.
Hai utilizzato lo stesso clone di Aglianico nelle diverse vigne?
Sì, lo stesso clone di Aglianico e lo stesso portainnesto, con forme di allevamento uguali, impianti uguali, in modo tale da vedere nel tempo le differenze legate al solo terroir. Io credo che siamo gli unici a poter fare un discorso del genere, gli unici a poter tenere in cinque comuni diversi la stessa tipologia di coltivazione.
Fai anche una produzione separata per vigna?
No, alla fine si faranno anche dei cru, ad oggi viene tutto assemblato, domani chissà. Sono cose che richiedono anni ed anni per avere conferme.
Nel frattempo hai cercato di presentare l’Aglianico nelle sue diverse espressioni
Facciamo un Aglianico poco concentrato che è il nostro rosato, più correttamente un chiaretto. Per noi è un prodotto molto importante perché rappresenta un prodotto a base di Aglianico adatto anche a un consumo estivo, Il Rogito; poi, Il Repertorio, che è un vino più concentrato, e infine La Firma, le cui uve vengono raccolte nelle parti più soleggiate. È un vino che ha una grande morbidezza derivante dalla maggiore maturità del frutto. La Firma viene passato in barrique e affinato per un anno nelle grotte di tufo.
La differenziazione dei prodotti come avviene?
Dall’epoca di raccolta. Da questi cinque vigneti vengono fatte tre raccolte in tempi diversi. Il primo passaggio avviene intorno al 10 ottobre, per raccogliere le uve che serviranno a fare Il Rogito, ossia il chiaretto. Dopo dieci giorni vengono raccolte le uve per fare Il Repertorio e dopo altri 10-15 giorni si raccolgono le uve per fare La Firma.
Quindi giocate tutto sui tempi di raccolta?
Giocando su questi tempi di raccolta, sfasati di 10-15 giorni l’una dall’altra, si possono ottenere tre prodotti diversi con tre diversi gradi di maturità fenolica.
… e il trattamento in cantina?
Le uve che sono state raccolte per il rosato hanno uno o due giorni di contatto con le bucce. Per Il Repertorio facciamo dieci giorni di macerazione e per La Firma, dove le uve sono prossime alla surmaturazione, possiamo fare anche un mese di estrazione. Questo spiega anche il diverso colore, il diverso estratto.
In cantina questi prodotti vengono messi separati in ogni caso?
Sì, sono tre progetti diversi che consentono anche di ottimizzare l’utilizzo dei legni. La Firma, che è un prodotto più concentrato, va nel legno nuovo. Quello usato per La Firma è destinato l’anno successivo a Il Repertorio. Il terzo anno i legni ancora sono utilizzati per Il Rogito, in modo tale che man mano che i vini sono meno concentrati passano in legni sempre più vecchi, meno invasivi.
L’amore per la vigna è fortemente legato al ricordo del nonno, ma nella scelta del nome dei vini non hai certo dimenticato tuo padre, e la sua professione di Notaio.
Sì, infatti, i vini hanno dei nomi legati al mondo notarile. Si passa da Il Rogito, che è l’atto notarile iniziale, poi Il Repertorio, la raccolta degli atti del notaio, La Firma degli atti del notaio e poi anche il nome dell’ultimo, di cui non ti ho ancora parlato, è legato a quel mondo, si chiama L’Autentica, un blend di Moscato e Malvasia. E’ un vino in cui vi è una ricerca tecnologica diversa, c’è una passione particolare. Creare un vino passito non è una cosa proprio semplice, perché non siamo in Sicilia e fare l’appassimento qua è più complesso, lavorare e mantenere un vino con un limitatissimo livello di ossidazione come L’Autentica e non è facile.
CANTINE DEL NOTAIO
Via Roma, 159
Rionero in Vulture - (PZ)
Tel: 0972 723689
Fax: 0972 725435
Email:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Web: www.cantinedelnotaio.com