Antonio come si può descrivere un buon vino?
Raccontare come è nato il progetto, dove si trovano le vigne, dov’è il territorio, le potenzialità che questo può esprimere, chi sta lì vicino, tutta una serie di informazioni generali.
E’ fondamentale a mio avviso avere una conoscenza complessiva del vino che si va a degustare, basarsi solo su quello che sa esprimere il vino nel bicchiere, al di là della piacevolezza del bere, rimane sempre un rapporto superficiale con un prodotto che merita una attenzione molto più completa.
Certe volte rimango perplesso davanti a affermazioni di grande impatto come quelle di un mio amico che individuava note di qua e note di là nei miei vini fino a nominare un fiore sconosciuto. Alla fine gli ho detto “qualcosa sento, ma non percepisco proprio questo fiore che dici”.
Parole fatte per stupire ma non per favorire la comprensione
Mi capita spesso di avere a cena amici che sono appassionati e stappiamo un pò di bottiglie di 3 o 4 annate. Vedo che la gente, anche chi non è proprio addentro, con il tempo inizia a percepire alcune caratteristiche. Si individua la persistenza o meno del vino, se è un pochino più pieno, rotondo, utilizzando parole diverse forse non appropriate, ma che rendono bene l’idea. Queste sono le cose che rendono piacevole parlare di vino, con le altre ci si sente a disagio.
Quelle persone sedute alla sua tavola, degustano un vino e conoscono la storia di chi lo fa e del territorio che lo esprime. E’ un rapporto diverso con quel bicchiere.
Le faccio un esempio che ricalca benissimo quello che dice lei. Tra i nostri importatori esteri più importanti che vengono a trovarci in azienda, con i quali a volte ho il piacere di stare a pranzo o a cena insieme e quelli che non sono mai venuti, ma che assaggiano solo i campioni, il rapporto è completamente diverso. Con i primi si ha una accelerazione diversa, le loro reti hanno un modo di raccontare il prodotto diverso. Eppure il materiale cartaceo i dischetti quello che si può dare da parte nostra è uguale per tutti. Però con quelli che sono venuti a casa nostra, con i quali si è bevuto il vino insieme, che hanno parlato con i ragazzi della cantina, il rapporto è completamente diverso.
Qual è il rapporto con il suo vino?
Un rapporto di passione e anche di preoccupazione. Chi non fa le cose con passione chi non ha peoccupazione, diciamo anche l’angoscia, di come sarà il proprio vino ogni annata, secondo me non fa le cose come dovrebbero essere fatte. Nel mio caso è costante la preoccupazione di come verrà il blend. Io devo dire la verità, prima di andare in bottiglia lo stesso vino viene assaggiato 50 volte. Più vai avanti più aumenta la sensibilità e più aumenta la preoccupazione.
Chi fa il vino con grande attenzione, con grande passione, cerca sempre di far crescere il proprio prodotto
Il guaio è che ogni anno si cresce, si affina il gusto, e si diventa più esigenti. Un vino mio qualsiasi del 2004 oggi lo assaggio in maniera più critica. Nel senso che oggi avrei preteso qualcosa di più. E questo serve per rimettersi sempre in discussione e migliorare.
Un miglioramento che nasce in primis dal vigneto
Il vigneto è alla base di tutto. Se non si riesce ad avere una eccellente qualità delle uve del resto neanche se ne parla. Poi avendo delle ottime uve si può sbagliare in cantina. Una vasca ti prende un odorino, una barrique se non l’assaggi bene si trascina una puzzettina e se non la scarti subito può creare problemi seri. Scartare significa buttare. Aprire il tappo e buttare. Noi facciamo una produzione artigianale, le nostre quantità sono da azienda artigianale. Io ho due persone che si mettono lì e assaggiano tutte le barrique ogni settimana. Ho gente che cresce continuamente, che acquisisce una enorme sensibilità e cattura subito un difetto. Al naso sentono subito una puntina che non va.
Lei partecipa direttamente a questo processo?
Alle 7,30, il lunedì e il martedì, che sono i giorni nei quali fanno questo mestiere, li chiamo e gli dico “ragazzi, mi raccomando, fate con calma. Se c’è qualcosa che non va accantonate poi si riassaggia”. Devo dire che questo pressing paga. Questi ragazzi vanno tenuti sempre in tiro perchè non è un lavoro che si può fare in modo superificiale, se non si è in forma è meglio fermarsi e farlo il giorno dopo. Fa parte del lavoro del vino. Le sviste fanno dei danni enormi.
La sua avventura in campo vitivinicolo è cominciata alla fine degli anni Novanta
Sì, qui nella Tenuta Setteponti, che prende il nome dai ponti che congiungono le sponde dell’Arno da Arezzo a Firenze. Ho imbottigliato le prime 4-5000 bottiglie di Crognolo nel 1998, l’Oreno nel 1999. Si era iniziato a ristrutturare i vigneti vecchi, quelli buoni avevo deciso di tenerli, gli altri li abbiamo estirpati e rimpiantati, a oggi mancano ancora 5-6 ettari da sistemare. Pensi che mio padre aveva oltre 170-180 ettari di vigneto. Negli anni Sessanta si producevano cisterne di vino come mandare via l’acqua. Abbiamo ridotto drasticamente i vigneti fino ad arrivare a 50 ettari vitati. Abbiamo selezionato, con l’aiuto degli agronomi, solo quelli ritenuti vocatissimi. In una prima fase avevamo individuato 65 ettari, poi ridotti a 60 e ora sia arrivati a 52. Le dirò che due anni fa ho estirpato una vigna di Sangiovese impiantato nel 1999, perchè la qualità che esprimeva non era giusta. Siamo arrivati al sesto anno, ma non andava. Non è stato piacevole farlo, è stata comunque una operazione costosa. Ma si è visto subito che c’è stata una accelerazione qualitativa nel resto del vino appena tolto di mezzo questo vigneto.
Avete aspettato i sei anni perchè è quella l’età giusta del vigneto per capire la qualità delle uve
In realtà, si è era già visto alla terza vendemmia. Quando si fa un vigneto per avere le uve buone, veramente buone, minimo bisogna arrivare a 6 anni. Però se lei prende le uve del terzo anno, le vinifica da sole, lei ha una qualità come quella del sesto, settimo anno. Quella qualità ricala subito nei due anni successivi. E’ una cosa automatica. E’ un segnale di cosa ci si può aspettare da quel vigneto. Non sbaglia. E’ la nostra è stata una buona riprova.
Poi comincia un’altra storia
In Maremma, a Magliano in Toscana. Qui siamo partiti nel 2000 con l’azienda che si chiama Poggio al Lupo, sono 44 ettari di cui 15 vitati. Facciamo Morellino e poi 10.000 bottiglie di un IGT Maremma.
Subito dopo la lunga storia molto faticosa, ma molto bella, in Val di Noto
La Sicilia è una terra di grandi potenzialità, dove sono io è zona vocata per i rossi. Ho acquistato 120 ettari. Ho fatto una settantina di contratti. Lei consideri che l’acquisto più grande è stato di 7 ettari. Il resto mezzo ettaro, 1, 1,5 tutta roba così.
Un unico corpo
Due grossi corpi separati da una strada comunale, sono molto vicini.
E’ stata una grande fatica
Grandissima non so se oggi la rifarei. I viaggi che ho fatto! Andavo dall’azienda a Roma, prendevo l’aereo per Catania, la mattina tutto il giorno a girare e poi via. Ma anche queste cose qui fanno parte del progetto. Perchè ci si attacca così tanto, gli si da un valore diverso a quella terra. Se vai, vedi 40 ettari, ti piacciono parli con il proprietario e la compri è una cosa, ma quando vai a parlare con tanta gente, che a volte ti parla in dialetto, e quel pezzetto non lo vuole cedere. Prima sì, poi no e poi l’uva la voglio ancora per un anno.
Dopo essere riuscito a mettere insieme tutte queste tessere, che sembrano quelle di un mosaico, che è significato in termini di vigna? avrà trovato ogni parte con una vigna impiantata e allevata secondo l’idea del singolo proprietario
Sì certo. Anche se il sistema di impianto lo facevano tutti uguale, alberello molto ravvicinato, lavorato tutto a mano, l’unico mezzo meccanico era un motocoltivatore. Noi abbiamo un pò diradato per poterci passare meglio. Ora abbiamo 50 ettari di vigneto di cui 30 nuovi tutti ad alberello. L’azienda si chiama Feudo Maccari. Ora stiamo finendo la cantina con una barriccaia sotto. Finora avevamo utilizzato dei fabbricati preesistenti un pò sistemati. Noi siamo vicini al mare la zona è molto ventilata, si gode di una brezza e di una bella escursione termica con la notte che aiuta molto. Per le uve è eccezionale, non c’è guazze.
Cosa avete come varietali?
C’è Nero d’Avola in prevalenza poi Cabernet e Syrah. Abbiamo fatto anche un vino internazionale, il Maharis, poche bottiglie 10 mila con Cabernet e Syrah che devo dire piace molto. E poi un Nero d’Avola in purezza, il Saia, e un vino d’annata il Re Noto, Nero d’Avola e Syrah.
L’ultima è l’Orma
E’ una piccola proprietà di 7 ettari proprio attaccata all’Ornellaia, ci sono 5,5 ettari di vigneti abbastanza giovani, sono i tipici vigneti bordolesi, Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc. La prima annata è stata il 2005 e il 2006 è già molto interessante. Su questo francobollo, o lo chiamo così, c’erano già i vigneti. Però è un francobollo affascinante non c’è cantina ancora. Un paio di annessi agricoli, ma niente cantina. Hanno un sesto di impianto di oltre 7000 piante ettaro. Si arriverà a regime a 35 mila bottiglie. Non si può diradare troppo, lo abbiamo visto con le ultime due vendemmie la 06 e la 07. La 06 se si diradava un pochino meno sarebbe stato ancora meglio. Stiamo valutando di fare un 1 kg e mezzo o due a pianta. Perchè altrimenti ci sono concentrazioni eccessive. Il vino esce alla terza vendemmia. Siamo appena usciti con il 2005.
Tenuta Sette Ponti
loc. 'Vigna di Pallino'
Castiglion Fibocchi, Arezzo
Tel 0575 477857
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www.tenutasetteponti.it