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Hans Terzer

L’anno del centenario per la cantina di San Michele Appiano. Una azienda cooperativa che ha dimostrato negli anni come sia possibile raggiungere risultati di assoluta eccellenza anche con una frammentazione così importante delle vigne e una moltitudine di uomini che le lavorano. Quegli uomini altoatesini hanno condiviso e fatto proprio un progetto, che è risultato vincente, disegnato da un grande enologo come Hans Terzer. Hans può sembrare schivo, a volte anche ruvido nei suoi modi, ma ha in mente quali sono le difficoltà e i problemi da affrontare per raggiungere l’obiettivo a vantaggio dell’azienda, dei suoi soci e deve coordinare con mano ferma e idee chiare questa realtà variegata e complessa. Quando parla dei vini di San Michele, il tono della voce sembra ammorbidirsi, fino a confessare una piccola debolezza, quella di amare il Pinot Nero che vede nel futuro tra i grandi vini dell’azienda.

 

 

Hans, una lunga, lunghissima storia quella della azienda San Michele, proviamo a raccontarne i tratti più significativi per dare a chi legge la percezione del grande lavoro fatto e di quello ancora da fare.

 

Io posso parlare della storia che ho vissuto direttamente. Sono 30 anni duranti i quali è cambiato molto in questa cantina. Io sono convinto che quello che siamo riusciti a costruire in particolare negli ultimi 20 anni, non siamo riusciti certamente a farlo negli 80 anni prima e non lo faremo nemmeno nei prossimi 100 anni, di questo ne sono convinto. Un cambiamento così radicale non ci sarà più. Siamo già arrivati ad un certo traguardo, che naturalmente ci consente di migliorare ancora, ma non a cambiare di nuovo tutto quanto come siamo riusciti a fare negli ultimi 20 anni, dagli anni ’80 in poi.

 

Parli di cambiamento, come nasce questa necessità e dove sono stati avviati gli interventi più importanti

 

Nelle cantine altoatesine, storicamente nasceva soprattutto un rosso un po’ particolare, ma anche povero, la Schiava. Questo vino veniva venduto soprattutto sul mercato locale ed anche sui mercati tradizionali come l’Austria, la Germania e la Svizzera. Però non ha mai avuto un grande successo, una grande importanza e soprattutto non ha dato risultati economici apprezzabili. È un vino che costa poco e che non viene valorizzato. Speriamo che venga valorizzato nel futuro quando sentiremo la mancanza di questo prodotto. A questo aggiungo che l’Alto Adige si era messo per tanti anni di far concorrenza alle regioni dove si producono masse e questo è stato un errore. Abbiamo pochissimo terreno vocato, che è costoso, con tanta manodopera.

 

Bisogna ammettere che non è stata una felice intuizione quest’ultima.

 

No, infatti. Abbiamo capito ad un certo punto che dovevamo differenziarci e dovevamo essere competitivi con la qualità. Queste riflessioni ci hanno portato a constatare che la nostra terra, adesso parlo anche dell’Oltradige, è soprattutto terra vocata ai vini bianchi. Il cambiamento è incominciato quindi dalla vigna. Ho espiantato i vitigni a frutto rosso e li ho sostituiti con quelli a frutto bianco.

 

Operazione complessa questa, mi viene da pensare. E’ significato chiedere ai soci di iniziare da capo.

 

E’ bastato convincere i primi soci, quelli più decisi a innovare, a fare delle prove con Sauvignon, Pinot grigio, Chardonnay, Gewurztraminer. Man mano questo processo ha preso piede, soprattutto quando gli altri soci hanno visto il successo di questi pochi. Ne è derivato che negli anni ’90 abbiamo impiantato una grandissima parte della nostra superficie con dei vigneti nuovi. Ti faccio un esempio. Quando ho incominciato 30 anni fa, oltre l’85% dei vini erano rossi ed il 15% erano bianchi, con una superficie che si aggirava intorno ai 200 ettari. Oggi abbiamo quasi il doppio, 372-375 ettari e quasi i 2/3 sono impiantati con vitigni a bacca bianca.

 

Continuerai a incrementare i vini bianchi?

 

Io sono convinto che in cinque anni avremo 70% di bianco e 30% di rosso. Un po’ di rosso ci vuole.

 

Certo, anche per completare la gamma. Poi avete anche dei rossi fuori zona.

 

Sì, con il Lagrein andiamo un po’ fuori zona. Se non ci spostiamo avremo sempre il 3% di Lagrein.

 

Tu ami un altro vitigno però ...

 

Un vitigno a cui io tengo soprattutto è il Pinot nero, perché siamo in zona di Pinot nero qui. Abbiamo l’8% di Pinot nero nella superficie vitata. Il Pinot nero è il secondo rosso più importante dietro la Schiava.

 

Con questa rivoluzione, che è stata fatta in vigna, voi accompagnate i produttori anche in termini di consulenza, scelta della tipologia del vitigno.

 

C'è stata questa rivoluzione nel vigneto, ma c’è stata una rivoluzione anche nella mentalità dei soci. Il socio, secondo me, va motivato dandogli anche delle responsabilità. Questa è la cosa più importante in una cooperativa, dare responsabilità. Dicendogli “tu dovresti fare questo e questo e poi lasciarlo fare”. Io non voglio andare con la consulenza oltre un certo margine perché se vado oltre loro si deresponsabilizzano.

 

Quindi state vicini ai produttori, ma sempre un passo indietro

 

Li affianchiamo solo quando c’è bisogno. Normalmente gli diamo solo degli input e la giusta motivazione. Così loro si sentono forti e si danno da fare. Bisogna fargli capire che sono parte di questa cantina. Una volta ogni socio faceva quello che gli pareva, portava l’uva e poi se ne disinteressava. Oggi non è più così. Non può fare di testa sua ed impiantarmi Gewurztraminer nella zona del Sauvignon o viceversa.

 

Nessun interferenza nella fase di allevamento, ma una forte nella scelta del vitigno ...

 

Siamo molto rigidi quando si tratta di zonazione. Lì non passa nessuno se non ha il nostro consenso. Questa cosa l’hanno capita.

 

La scelta del territorio vocato è fondamentale

 

Naturalmente la scelta del vitigno è basata sul terreno, ma anche sul mercato… E’ inutile che in vigna ci mettiamo tutti Cabernet e in Sicilia la produzione del Cabernet è molto più facile. Dobbiamo produrre quello dove ci sentiamo forti, dove siamo sicuri. Con tutte quante queste piccolissime aziende dobbiamo darci da fare, soprattutto sulle specialità.

 

350 aziende per 350 ettari, si fa presto a fare il conto. Qualcuna poi sarà avvero minuscola.

 

Sì, c’è qualcuno che lavora come hobby, hanno 2000-3000 m.

 

Mi sembra che abbiate compiuto davvero uno sforzo straordinario

 

Questo è il nostro lavoro, il nostro mestiere. Con questo siamo riusciti a convincere i soci. E’ stato sicuramente un grandissimo aiuto nel 2000 ricevere il premio “Cantina dell’anno”, anche i nostri soci hanno capito finalmente quello che gli stava dicendo Terzer. Siamo una delle più belle aziende italiane…

 

Un buon lavoro anche in cantina

 

Abbiamo la cantina ben attrezzata, uno staff motivato, abbiamo tanta passione per il nostro lavoro e vogliamo lavorare bene, con un occhio anche al mercato. Nel senso che se il mercato mi chiede vini aromatici, non posso produrre vini neutri o viceversa. Se il mercato mi richiede vini rossi di una certa struttura, non posso produrre rosato. Io devo guardare anche quello che vuole il mercato.
In cantina noi abbiamo sia il legno, piccolo e grande, che acciaio, per poter soddisfare le richieste del consumatore.

 

La gamma di produzione si suddivide in tre linee: Classica, Cru, Sanct Valentin. Come avviene la scelta del prodotto?

 

Incominciamo da Sanct Valentin, che porta il nome di un castello che si trova nel cuore della nostra zona vitivinicola bianca, dove è nata l’idea di fare questi vini, per cui il nome è Castello Sanct Valentin. Devo ammettere che i rossi di questa linea non nascono qui, sono fuori zona. Tutto quello che diventerà o dovrebbe diventare Sanct Valentin è già programmato, nel senso che abbiamo vigneti scelti, produttori scelti che producono per la linea, rispettando una serie di parametri (rese, etc.). 

 

Poi le altre linee

 

Anche per la linea Cru è stata identificata una zona dove ci sono di nuovo certe rese e dove diamo certi input. Tutto il resto, soprattutto il prodotto di tanti vigneti giovani, che magari sono stati impiantati per produrre un domani anche Sanct Valentin, vanno a finire ovviamente nella linea Classica.

 

Quali sono i numeri delle singole linee

 

La Classica rappresenta il 50-55 % della produzione. La Sanct Valentin, circa il 20% e la linea Selezione (o Cru) dal 25 al 30%.  Preferisco chiamarla Selezione perchè ci sono anche le riserve e le riserve non sono un cru.

 

Un piccolo accenno al vostro mercato

 

Circa un 70% del prodotto rimane in Italia. Diciamo che una bella fetta, un terzo circa, di questo 70% rimane in Alto Adige.

 

Hans vorrei che tu spendessi qualche parola su quel mirabile passito che è il Comtess

 

Comtess è uno dei primi, se non il primo,  passiti dell’Alto Adige. E’ nato nell’89. Il Comtess è frutto di tre vitigni, una grande percentuale, circa il 70%, di Gewurtraminer, e il restante 30% equamente diviso tra Riesling e Sauvignon. L’uva, dipende dall’annata, viene vendemmiata più tardi possibile.

 

Diciamo che quindi è una surmaturazione?

 

Sì, è una surmaturazione sulla pianta. Ci sono state annate dove ho tirato giù l’uva nei primi di ottobre, e altre, come l’anno scorso, che ho raccolto i due giorni prima di Natale. Dipende dall’annata. L’uva viene messa in dei plateau dove la lasciamo essiccare fino ai primi dell’anno successivo. Poi viene pigiata, lavorata come il vino bianco e il vino nasce, contrariamente a tanti vini dolci italiani, non in legno, ma nasce e viene affinato in acciaio per salvaguardare i suoi incredibili profumi.

 

Cantina St. Michael Eppan
Gen.m.b.H.
Via Circonvallazione 17/19
APPIANO (BZ) ITALIA
Tel. 0471 664466
e-mail:
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