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Massimo Zorzettig

 

Entusiasmo e determinazione. Così, in due parole, si può riassumere l’animo di Massimo Zorzettig. Nel suo racconto traspare una forza infinita di raggiungere l’obiettivo che ha nella sua mente: fare vino di qualità. E’ partito per questa avventura avendo dentro di se quel brivido che coglie ognuno di noi quando affronta un percorso arduo e affascinante. Ora la voce tradisce l’orgoglio di essere riuscito ad avviare il tutto proprio come sperava che fosse. C’è ancora molto da fare, ma è aumentato l’entusiasmo, è aumentata la determinazione. Il terreno è più solido, l’orizzonte più delineato e sereno. E’ bello sentire il suo racconto, una storia che va ascoltata con rispetto e simpatia.

La tua famiglia è sempre stata legata al mondo del vino

 

Sono generazioni che facciamo vino, ma questa identità è abbastanza recente e nuova. La nostra storia comincia quando eravamo ancora mezzadri e lavoravano i terreni nel 1950, di proprietà dell’Ospedale. C’era il nonno Min, il mio papà Livio ed altri due fratelli, Franco e Peppe.

 

Quindi è la famiglia che ha incominciato l’avventura del vino?

 

Sì, come Fratelli Zorzettig vicino alla zona del parco del Bosco Romagno. Questa è una zona storica, molto importante a livello viticolo. Da lì parte un po’ la storia del fare vino del nonno con gli zii. Siamo negli anni che vanno dal ’50 fino al 1985-86, quando i tre fratelli decidono di dividersi per prendere ognuno la propria strada e creare la propria realtà, sempre nel mondo del vino. I 92 ettari, che rappresentavano la proprietà di famiglia nel 1986 vennero divisi in tre parti quasi uguali.

 

Che erano contigue?

 

Sì e no perché nei colli orientali, non devi immaginare un appezzamento, ma tanti piccoli appezzamenti. A noi, per esempio, sono toccati 15 ettari della zona del Bosco Romagno, 10 ettari vicino casa, 14 ettari in zona Colli S. Anna, in zona di Dolignano sotto l’abbazia di Rosazzo. Poi ne abbiamo acquisito a Ronchi di Gagliano, ne abbiamo anche a Rocca Bernarda. Adesso La Tunella conta su 70 ettari di proprietà, ma tutto questo arriva dopo. Dal 1986, quando i tre fratelli si sono divisi, al 2001, l’azienda ha portato il nome di mio papà, Livio Zorzettig. A malincuore, il 1 aprile 2001, io e mio fratello Marco abbiamo deciso di cambiare il nome alla nostra azienda.

 

Un passaggio molto importante.

 

Sì, importante, faticoso e rischioso. C’era incertezza, anche mio fratello non era troppo d’accordo, ma la mamma disse ”siete voi che sposate la causa, vedete voi cosa dovete fare”. Ci sono dei momenti della vita nei quali fai le cose senza pensarci troppo, senza guardare la parte economica, senza guardare nulla, perché le senti dentro. Solo con quello che hai nel cuore per fare quello che effettivamente reputi vero e giusto. Abbiamo abbandonato quello che era gran parte un mercato acquisito con il marchio Livio Zorzettig. Abbiamo sposato la causa dell’alta qualità puntando esclusivamente sui nostri terreni, non acquistando uve, imbottigliando direttamente ed elevando sempre più la qualità dei nostri prodotti. Con il marchio Zorzettig non era possibile farlo perché con il marchio Zorzettig ci si era concentrati  sulla grande distribuzione.

 

Questo vi avrebbe fatto fare una strada in salita.

 

La grande distribuzione assicura dei numeri sicuramente molto più importanti a livello quantitativo, però sicuramente ha un minore assorbimento per i prodotti di qualità alta.

 

A quel punto portare lo stesso nome avrebbe creato confusione nel consumatore.

 

Sì, io ero la persona che stava spesso in giro e trovavo difficoltà a presentare i vini Zorzettig nella fascia alta del mercato o presso la ristorazione proprio per il legame del marchio con i supermercati. Tornavo a casa sempre abbastanza amareggiato dai miei giri. Mi sono allora ripromesso che quando fossi riuscito  a fare il salto qualitativo che avevo in mente avrei cambiato il nome ai miei vini. Negli anni ’95-96 avevamo già rifatto tutti i vigneti con dei sesti di impianto a 5.000-6.000 ceppi per ettaro. Quando i vigneti hanno raggiunto la piena produzione,  abbiamo verificato che le uve erano di alto livello qualitativo e che ormai avevamo raggiunto una tecnologia adeguata in cantina e ci siamo resi conto che era arrivato il momento di cambiare. E nasce La Tunella, nome ripreso da un toponimo antico che individua sulle mappe la zona intorno all’azienda.

 

Vi sentivate già pronti per potervi staccare dal vecchio marchio?

 

Noi avevamo solamente il terreno, l’uva, la tanta voglia di fare. Nel mercato nessuno ci avrebbe detto che saremmo riusciti.

 

Era una scommessa.

 

Sì, perché prima si vendevano le bottiglie della Livio Zorzettig, queste avevano un prezzo, quando si è iniziato a parlare de La Tunella, purtroppo con costi diversi di produzione, il prezzo si è modificato in alto. Dovevamo dimostrare alla nuova clientela che il prodotto valeva il prezzo, perché sicuramente quelli che acquistavano Livio Zorzettig non erano più i nostri clienti.

 

Avete cambiato proprio fascia.

 

Ho fatto 4 anni di corsa in Italia e all’estero perché credevo in quello che si era fatto, ero convinto che avevamo raggiunto un alto livello qualitativo e volevo farlo conoscere e gridarlo. A distanza di 4 anni stiamo raccogliendo i primi risultati.

 

Di fatto è un’azienda nuovissima.

 

Sì, puntualizzo di aver impiantato i vitigni autoctoni, e creduto in quelli, in un’epoca nella quale si puntava molto sui vitigni internazionali. Parlo di 12, se non 15 anni fa. Negli ultimi tre o quattro anni, il mercato a cominciato a cercare i vini autoctoni e, quindi, posso dire che è stata una felice intuizione fare quella scelta.

 

Nella fase di sistemazione in vigna avete fatto una importante diversificazione di gamma di prodotto che comprende vitigni autoctoni, ma anche internazionali.

 

Sì, abbiamo tre bianchi internazionali che sono Pinot grigio, Chardonnay  e Sauvignon. Abbiamo puntato tantissimo sul Tocai e sulla Ribolla, li vinifichiamo sia in purezza, che in due uvaggi: il Sesto e il Capo Marzio.

 

Perché Sesto?

 

Perché noi vinifichiamo cinque monovarietali e questo è il sesto bianco. Invece il Campo Marzio prende nome dal vigneto. Questi sono i nostri bianchi.

 

Voi fate un utilizzo molto attento dei legni

 

Sì, per me è fondamentale sentire il varietale di ogni prodotto.  Poi si possono anche utilizzare altre tecniche di vinificazione ma si rischia di perdere le singole identità, diventa tutto simile. Secondo me con la vinificazione in acciaio o con la spremitura di uve intere riesci ad ottenere la massima espressione. Poi se vuoi ottenere prodotti più complessi ed importanti, l’uso del legno è bello e piacevole, come l’uso delle sovramaturazioni.

 

Oggi la richiesta di vino, non passato in legno, è diventata molto più importante

 

Noi siamo convinti di questo ed il mercato ci è venuto incontro anche qui. Io sono stato sempre irremovibile sul vinificare in acciaio i monovarietali in modo particolare. Perciò siamo stati fortunati a tener duro anche nei momenti in cui tutti sembravano volere il vino passato in legno ed invece noi no.

 

Anche nei rossi avete fatto una scelta molto attenta su quali passare in legno e quali invece lasciare esclusivamente in acciaio?

 

Lì è stata una scelta un po’ passionale. Il nostro Pinot nero, del quale papà ci aveva lasciato due ettari e mezzo di vigna, non può certo competere con i Pinot nero di altissimo livello, vista la zona e la problematica legata all’uva. L’abbiamo vinificato in acciaio per produrre un vino rosso, fruttato, piacevole. Sai su qualche piatto dove il bianco è poco ed il rosso è troppo. Su un piatto a base di pesce forte, una carne bianca, un qualcosa del genere, ha una funzione perfetta e la clientela di massa è molto soddisfatta e molto colpita di questo Pinot nero che abbiamo fatto senza lode, né infamia. Mentre parlo con molto piacere del nostro Refosco, del Cabernet Franc, che si lega molto a quello che è il nostro territorio, e del Merlot. Questi sono i tre rossi che noi vinifichiamo in un numero di ettari anche abbastanza importante ed escono ad un anno e qualche mese dalla vendemmia con un affinamento in tonneau, perciò botti di 500 l di rovere francese, e in botti da 25 hl, sempre di rovere francese.

 

Avete sempre fatto così?

 

No, una volta si faceva una parte in acciaio ed una in tonneau. Dalla vendemmia 2005 abbiamo convertito quello che è l’acciaio in botti grandi di rovere francese da 25 hl e le tonneau sono rimaste così. C’è circa un 60% di botti grandi ed un 40% di tonneau. Poi facciamo l’assemblaggio. Lasciamo l’assemblaggio in acciaio per circa 20 giorni prima di procedere all’imbottigliamento. Mentre per lo Schioppettino e il Pignolo, gli altri due rossi che produciamo, facciamo fare un leggero appassimento alle uve di circa un mesetto, un mesetto e mezzo, in base a quello che è l’andamento stagionale, perché non vorremmo mai fare dei prodotti con una gradazione alcolica folle, bensì dare  solamente un supporto.

 

Quindi appassimento, non surmaturazione? Dopo la raccolta mettete le uve subito sui graticci?

 

Su quelle che sono le cassettine. Sono 20.000 cassette che vengono messe tutte a riparo in un nostro piccolo capanno, dove le ventiliamo e le lasciamo fino a che raggiungono un grado di maturazione e di appassimento idoneo per mantenere le caratteristiche del varietale. Quando assaggio uno Schioppiettino voglio sentire la speziatura o quando assaggio un Pignolo voglio sentire la particolarità e la peculiarità di quello che è un Pignolo. Su questi due, vista la struttura del vino, usiamo solo tonneau e non botti grandi. Lo Schioppettino esce a due anni dalla vendemmia e il Pignolo a tre anni, perché quest’ultimo è un vino un po’ nervoso e particolare.

 

Quindi ha bisogno di un tempo maggiore per maturare?

 

Sì, anche perché al piacere di recuperare questi due vitigni che sono parte della nostra storia, si è unita la volontà di lavorarli come si faceva una volta. Lo Scoppiettino non si metteva mai in commercio giovane e neanche il Pignolo.

 

Vinificate anche qualche vino dolce.

 

Sì, il Verduzzo, perché volevamo riproporre questo vino straordinario ottenuto con la vendemmia tardiva delle uve. Le uve vengono lasciate a macerare sulle bucce per circa 3-4 giorni per l’estrazione di quel colore dorato bellissimo e per l’estrazione dei tannini che questa uva unica nel suo genere contiene. Il mosto ottenuto viene messo a fermentare in barrique fino a quando ha raggiunto i 12,70°, 12,80°. Poi viene travasato, viene filtrato con delle tele particolari per fermare la fermentazione.  Fatta questa operazione, viene riposto dentro le barrique e rimane lì fino quasi all’inizio dell’estate, poi viene imbottigliato. Di Verduzzo ne abbiamo 4 ettari e contiamo su una produzione di circa 50-55 barrique, abbastanza importante per noi. Poi ci divertiamo a livello viticolo ed enologico a produrre 4 barrique di Picolit. Il Picolit fa un appassimento in cassettina per due mesi e mezzo o tre. Produciamo, infine, il Noan. Il Noan nasce dal desiderio di  fare un vino dolce molto particolare unendo Riesling, Traminer e Sauvignon. Per mantenere e salvaguardare tutta la gamma aromatica di queste tre uve, le vinifichiamo in acciaio.

 

Vinificate separatamente?

 

No, tutto insieme. Incominciamo con l’appassimento delle uve Reisling e Sauvignon in una stanza particolare dove manteniamo costante la temperatura, mai superiore ai 18°C, per non perdere le sostanze aromatiche. Mentre il Traminer lo lasciamo di solito sotto una tettoia dove in certe giornate umide inizia la fase di botritizzazione delle uve. Quando inizia la botritizzazione, il Traminer viene unito alle uve Riesling e Sauvignon in appassimento. Lo dimentichiamo lì per circa 2-3 mesetti, poi tutte le cassette vengono svuotate nella piccola pressa. Viene pressato il tutto e messo a fermentare in acciaio. Produciamo 2.000 bottiglie. Una chicca.

 

Deve essere una cosa fantastica.

 

Sì, peccato che riescono ad assaggiarlo in pochi. Certo che bisogna divertirsi. Non c’è motivo logico di diventare pazzi, perché quando ti arriva qualcuno hai un pezzetto di gorgonzola con una leggera confettura di fichi, che facciamo anche noi a casa, e tutti rimangono a bocca aperta dicendo “ma dove viene, sembra un Sauternes questo”. Il Picolit sposa altre filosofie, è elegante, si beve da solo. A fine pasto con qualche amico ci si gode un goccio di Picolit.

Az. Agr. LA TUNELLA
Via del Collio, 4 – Ipplis di Premariacco (UD)
Tel. 0432 716030
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