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Rocco Di Stefano

 

Le considerazioni che seguono sono il frutto delle conversazioni avute in varie occasioni con il Presidente e il Direttore del Consorzio e delle indicazioni fornite direttamente dal prof. Di Stefano e dal dott. Martini in occasione della prova di degustazione dei “testimoni della sperimentazione” avvenuta a Montefalco.
Il tentativo è quello di riassumere lo sforzo che sta conducendo il Consorzio per portare il vino Sagrantino a un livello ancora più alto di eccellenza, senza turbarne la tipicità e la territorialità.

Il Consorzio ha avviato una sperimentazione che coinvolge inizialmente almeno 3 vendemmie. Si iniziato nel 2003. E’ stato chiamato a coordinare la sperimentazione, Rocco Di Stefano, che è la massima autorità italiana in polifenoli e tannini, è un chimico, non è un enologo. Profondo conoscitore dei fenomeni biochimici delle uve è direttore della scuola di Asti. L’obiettivo è quello di rendere il Sagrantino più elegante nonostante la potenza a volte rude dei suoi tannini.
Uno dei punti più importanti di questo progetto è quindi quello dello studio della struttura del tannino.
A fianco delle sperimentazioni condotte da Rocco Di Stefano, c’è lo studio del dott. Martini dell’Istituto San Michele che porterà a una migliore comprensione della componente tannica del vino Sagrantino e alla definizione dell’approccio ideale alla vendemmia, alla vinificazione e all’affinamento di queste uve per ottenere i risultati attesi.
I vini Sagrantino in media possiedono 6 grammi per litro di tannino, ma possono anche avere delle presenze superiori. E’ utile il confronto per esempio con il Barolo, che pur avendo una significativa importanza tannica, possiede “solo” 3 grammi litro di tannino, 3,5 grammi nei casi eccezionali. Nonostante questi valori elevati, molto spesso il Sagrantino lo sentiamo sì astringente, ma non di un’astringenza aggressiva, intollerabile. La comprensione di questo fenomeno aprirà un nuovo scenario sul modno dei polifenoli e dei tannini in particolare, con positive ricadute sulla lavorazione in vigna e in cantina di tutti i vini a significativa presenza tannica, non solo il Sagrantino. E’ un lavoro molto complesso, reso ancora più difficile dall’assenza di grandi competenze, di grandi strutture.
Quello che sta emergendo è che per addolcire questi tannini, questa struttura così potente, è necessario un perfetto grado di maturazione che porta alla sintesi più elevata possibile degli antociani e determina il cambiamento, l’evoluzione della struttura dei tannini, soprattutto nella buccia, e ne attenua la reattività. A una presenza importante di tannini è necessaria una presenza elevata di antociani altrimenti le reazioni che si hanno durante l’affinamento non avvengono tra tannini e antociani ma fra tannini e tannini, questo non favorirebbe una stabilità vera e propria. La stabilità in assoluto non c’è mai nel vino, però una cosa è disporre di una reattività bassa rispetto a una reattività alta.
Il tannino di buccia di solito ha dei risultati più interessanti di quello di vinacciolo; nel caso del Sagrantino la maggior parte dei tannini sembrerebbero provenire dalla buccia, andrà tuttavia verificata l’eventuale influenza dei tannini dei vinaccioli.
Dal lato della sperimentazione, questa ricalca una metodologia messa a punto da diversi anni da Di Stefano, è quella della macerazione prefermentativa. Le uve del Sagrantino vengono raccolte, vinificate e il pigiato viene lasciato a una temperatura di 10°C per 2 o 3 giorni, o, in alternativa, l’uva appena raccolta viene messa con le cassette in frigorifero e poi vinificata sempre a una temperatura di 10°C. La fermentazione non parte. In macerazione prefermentiva sembrano avvenire dei fenomeni enzimatici delle uve che consentono di completare la maturazione fenolica, e poi, e questo è uno degli scopi principali della sperimentazione, di favorire la stabilità del vino e soprattutto di favorire gli antociani rispetto ai tannini. Con questa macerazione prefermentativa infatti si estraggono gli antociani già in fase alcolica e non acquosa e questo porta a una loro migliore stabilizzazione.
La sperimentazione prevede poi delle macerazioni con rimontaggi abbastanza intensivi. Una permanenza sulle bucce di una decina di giorni e una fase successiva a contatto con fecce fini. Il vino fa la malottica in barrique e rimane con le fecce, anche lì ci sono fenomeni di lisi che facilitano la demolizione dei tannini. Il rapporto tra antociani e tannini diventa più stabile.
La differenza fra il primo ed il secondo anno di sperimentazione non è risultata molto significativa, se non per il numero delle prove che sono state fatte nel primo anno e per le tecniche adottate nel secondo che hanno beneficiato della esperienza maturata. Le due annate sono state profondamente diverse dal punto di vista qualitativo, il banco di prova era l’annata 2004, dove la qualità dell’uva era sensibilmente  inferiore a quella del 2003; nonostante che nella vendemmia 2003 si sia imposta un’altra variabile, derivata dallo stress termico causato dalle  temperature estremamente alte durante il periodo della maturazione. Molto probabilmente l’acino si è disidratato, i semi sono rimasti verdi e l’uva non ha raggiunto un livello di maturazione ideale.
Le prove sul 2004 hanno dato dei risultati sicuramente inferiori ma comunque interessanti. Nel terzo anno, inizierà una nuova sperimentazione che rappresenta l’evoluzione delle tecniche finora adottate. Invece di partire dalla macerazione prefermentativa utilizzando la tecnica di raffreddamento preventivo delle uve e poi successivamente la macerazione fermentativa, si procederà a raffreddare direttamente il pigiato, in scambiatori di calore, e questo consentirà anche alle cantine con attrezzature meno importanti di avviare il processo. Un raffreddamento preventivo sarà fatto durante la notte lasciando le uve fuori. Durante la notte l’uva si raffredda e raggiunge una temperatura inferiore a quella della raccolta e poi si spera con un solo passaggio di raggiungere la temperatura di 10° C con la quale avviare la macerazione prefermentativa. Si tenterà anche di curare la componente aromatica utilizzando un po’ di ghiaccio secco, che non ha lo scopo in questo caso di abbassare la temperatura,  ma soltanto di creare un’atmosfera, un ambiente con piccole parti di ossigeno proprio per evitare l’impatto ossidativo. Finita la fermentazione si passerà direttamente all’affinamento adottando un sistema utile a prevenire la precipitazione degli antociani. Durante i periodi invernali infatti si ha sempre una perdita molto forte di colore, valutabile intorno al 50 per cento. Con le tecniche utilizzate si è osservato un forte contenimento della  perdita.
Antonelli, che rappresenta la cantina di riferimento nella sperimentazione, sta ora imbottigliando il 2003 e sarà interessante fare i confronti. Le uve sono state prese tutte dallo stesso vigneto, quindi ci saranno le uve lavorate con il metodo tradizionale, quelle nell’acciaio con micro ossigenazione, quelle nella barrique, quelle nel tonneau, quelle con criomacerazione, quelle anche la permanenza sui lieviti e quelle no

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