Sorride, Paola, e socchiude gli occhi, mentre si concentra sui ricordi: La nostra azienda è molto antica, nasce qui a S.Agata de' Goti intorno al 1400, quando la mia famiglia, che proviene in origine da Ravello, si spostò, dopo un maremoto che distrusse tutta la costa, verso l’interno. Noi di fatto siamo vissuti a Napoli e abbiamo continuato a coltivare quei terreni attraverso i coloni. E’ stata a lungo una casa di villeggiatura. Poi mio padre, Leonardo, negli anni ’60, decise di cambiare vita, lasciando la sua attività di ingegnere, e di dedicarsi all’agricoltura. Ha ristrutturato completamente l’azienda: in campo frutticolo, noi siamo stati tra le prime aziende campane a produrre pesche, pere, pesche primizie, con impianti di irrigazione a goccia, un’azienda all’avanguardia dal punto di vista frutticolo.
E dal punto di vista viticolo?
All’epoca c’era grande confusione in Campania perché erano stati impiantati tutti vitigni internazionali, non tipici, perché sembrava non avessero mercato. Quando mio padre decise di dedicarsi all’agricoltura, prima di cominciare, fece un’indagine sul territorio beneventano per capire quali erano i vitigni tipici. Insieme con lui, la Camera di Commercio di Benevento e un certo numero di produttori, fecero uno studio e riuscirono a individuare 18 varietà diverse di uve sconosciute, in realtà, il più delle volte, non valorizzate. Provarono a fare delle raccolte, delle microvinificazioni e poi le degustazioni di questi vini. Fra questi c’era la Falanghina. Questa veniva prodotta a Bonea, sotto il Taburno, la montagna che sovrasta il territorio e veniva venduta come vino da taglio nella zona dei Castelli Romani. Questo perché ha una struttura acida molto forte e serviva appunto ad aggiustare i vini dei Castelli. Mio padre assaggiando la Falanghina, ne intuì le potenzialità e decise di cominciare a riprodurla. Nel 1979 abbiamo prodotto le prime 3000 bottiglie di Falanghina. Sempre in quegli anni era stata avviata la produzione di vini da uve Greco, Aglianico e Piedirosso, che erano altri varietali tipici della zona.
La produzione era molto ridotta?
Sì, la produzione è stata limitata per le varie tipologie sempre a piccole quantità. Considera che non avevamo una rete commerciale, vendevamo il vino agli amici. All’epoca c’erano solo due cantine che imbottigliavano, tutto qui. Il grande aiuto iniziale ci è venuto proprio dagli amici che degustavano e apprezzavano il nostro vino: andavano al ristorante e chiedevano “avete vino Mustilli?”, questi rispondevano “chi è Mustilli?”. Il ripetersi della richiesta sollecitava la curiosità e allora i ristoratori si mettevano alla ricerca e compravano il vino da noi. Così si è creato il nostro primo mercato.
Un esempio di marketing familiare.
Esatto. La nostra principale piazza era Napoli e tutt’ora è la Campania il nostro maggiore mercato. Continuiamo a portare avanti la nostra filosofia di valorizzare i vitigni del territorio, vinificati in purezza, lo abbiamo fatto anche in un’epoca in cui di vitigni autoctoni non se ne parlava proprio. Mi ricordo che quando andavo alle fiere con il Piedirosso, la Falanghina, molti osservavano sorpresi i miei vini e esclamavano “ma in Campania fate anche i vini?” Questo era solo venti anni fa! Poi è stata tutta un’impresa a salire, molto difficile perché nel momento in cui si parlava solo di vini internazionali come Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, parlare di Greco, Aglianico, Piedirosso era davvero complicato. Ora sono nate tante altre aziende e questo ha consentito a questi vini di affermarsi.
Quali sono le dimensioni dell’azienda?
Adesso abbiamo 35 ettari di vigneti nostri, però non tutti sono in produzione, una decina sono ancora in fase di avviamento.
Solo vitigni autoctoni?
Sempre vitigni autoctoni, tranne un pò di Merlot che utilizziamo con l’Aglianico per fare il Briccone, che è un vino particolare che fa un invecchiamento di dodici mesi in barrique
Utilizzate il legno anche per altri vini?
No utilizziamo solo acciaio con fermentazione a temperature controllate
Vinificate separatamente?
Sì, separatamente le masse; vinifichiamo addirittura anche i vari appezzamenti separatamente. Facciamo un’azione di monitoraggio su tutte le vigne, le analisi sui vari terreni, sulle uve che provengono dai vari terreni e poi in cantina procediamo ad assemblare a seconda delle caratteristiche.
Questo vale per tutti i vini che fate?
Abbiamo anche un cru, Vigna Segreta. Questa Falanghina viene da una vigna che ha un’esposizione particolare e per cui l’uva matura circa tre settimane prima delle uve dello stesso varietale in azienda, e raggiunge i 14°vol. naturali. Viene fermentato in barrique e poi matura in acciaio.
Quali sono i vini in produzione?
Abbiamo quattro bianchi: Falanghina, Greco, Fiano vinificati in purezza. Il Greco si chiama Vigna Fontanella Greco D.O.C. Sannio, la Falanghina D.O.C. S. Agata dei Goti e il Fiano D.O.C Sannio e Vigna Segreta D.O.C. S. Agata dei Goti. Villa D.O.C. Sannio perché una parte dei vigneti sono in un comune che non è quello di S. Agata dei Goti, ma entra nella D.O.C. Sannio. Poi abbiamo i rossi: il Piedirosso D.O.C Sannio, il Grifo di Rocca che è un’Aglianico D.O.C. Sannio, il Conte Artùs che è un blend di Piedirosso ed Aglianico al 50% ed è una D.O.C. S. Agata. Infine, l’Aglianico Vigna Cesco di Nece D.O.C. S. Agata dei Goti ed il Briccone che è questo cru di Aglianico che però è un 85% di Aglianico e 15% di Merlot.
Perché Briccone?
Perché è un po’ mascalzone. Diciamo che è quello che si discosta dalla produzione tradizionale legata al territorio perché c’è questa invasione di un vitigno internazionale, testimonia un piccolo tradimento.
Poi un passito …
Sì, con Falanghina, Malvasia e Fiano. Le uve vengono lasciate appassire sui graticci, in ambiente sottoterra areato fino a che non si raggiunge il grado di maturazione voluto, poi l’uva viene pressata e il mosto messo in barrique dove fermenta. Rimane in barrique per circa un anno.
Usate lieviti naturali?
No, sono lieviti selezionati. Fino al ’95 abbiamo usato lieviti indigeni, poi abbiamo iniziato ad utilizzare quelli selezionati perché i lieviti indigeni si sono rivelati difficilmente controllabili.
L’azienda la portate avanti tu e tua sorella?
Mia sorella, Anna Chiara, si occupa della produzione, segue tutte le fasi dal vigneto alla cantina e la parte di analisi e laboratorio. Io invece mi occupo della parte commerciale. Ultimamente abbiamo costituito una società con altre sette aziende di altre zone d’Italia. Abbiamo fatto una “commerciale” che distribuisce i nostri vini.
Questo vi consente di ampliare il vostro mercato
Abbiamo una rete di vendita abbastanza complessa in Italia e ad all’Estero, come in Giappone, negli Stati Uniti, e anche in Cina di qui a breve.
Qual è la produzione totale?
Attualmente è intorno alle 200.000 bottiglie.
Paola, vorrei prima di concludere questa conversazione che mi raccontassi dell’esperimento che avete condotto 3-4 anni fa.
Abbiamo vinificato secondo un metodo adottato un paio di secoli fa. Nel 2003 abbiamo trovato, nella biblioteca nazionale a Napoli, un testo sui metodi di vinificazione di tutti i vini italiani, scritto nel 1876 da uno studioso, il Cavalier Giuseppe Frojo. Nel capitolo sui vini campani parla della Falanghina e del metodo che lui consiglia per ottenere una Falanghina più serbevole e migliore. Abbiamo seguito fedelmente quelle indicazioni per una piccolissima partita di uva ed abbiamo prodotto un vino molto particolare. In realtà il metodo consiste nel tagliare il tralcio e lasciare appassire l’uva per una decina di giorni sulla pianta. L’uva viene quindi torchiata, con un torchietto a mano.
Il succo è stato messo nelle barrique, abbiamo aggiunto 1,5 g/l di alcol, che è stato versato molto lentamente in maniera tale da non disperdersi nella massa, ma rimanere in superficie, per creare una sorta di protezione, un effetto solforosa per proteggere la massa.
La fermentazione naturale è durata 45 giorni, con i lieviti indigeni. Dopo la fermentazione è stato fatto un travaso in altre barrique, che sono state messe a riposare per un anno. Abbiamo ottenuto un vino non aveva più di 6° alcolici, con un residuo zuccherino altissimo perché la fermentazione è cominciata, i lieviti sono stati uccisi dall’alcol e si è fermata lì. Non abbiamo filtrato, abbiamo imbottigliato. L’esperimento è stata l’occasione per raccontare nelle pagine di un libro di questo vitigno, con la sua storia che è anche la storia di coloro che l’hanno ritrovato, riallevato e fatto apprezzare a tutti noi.
Lasciami ricordare una frase di presentazione di questo libro Falanghina scritto da Antonella Monaco, Anna Chiara Mustilli e Luciano Pignataro, con prefazione di Leonardo Mustilli: “La Falanghina è il bianco della Campania, il vitigno più amato del Mezzogiorno. Un successo che è iniziato nel 1979 quando Leonardo Mustilli ne riprese la produzione ormai quasi totalmente abbandonata dai viticoltori locali e che è stato inarrestabile grazie anche alla grande versatilità di questa uva e alla sua capacità di esprimere il meglio quando è coltivata anche in condizioni molto diverse fra loro.”
Azienda Agricola Mustilli
Via dei Fiori, 20
Sant’Agata dei Goti (BN)
Tel. 0823 718142
www.mustilli.com